Troppe auto in sosta e in transito, piazza del Collegio non vuol essere solo parcheggio
Il Cicognini ingolfa la zona alle ore di punta. Due ristoranti, molte famiglie. C'è chi sogna un posteggio interrato nel parco urbano
.
Piazza del Collegio, cui Tv Prato dedica il focus settimanale, è per Prato ciò che piazza dei Cavalieri è per Pisa: in centro storico, con un grande edificio destinato allo studio dei giovani, sul lato lungo. Il Cicognini nacque subito come scuola, a fine Seicento. Palazzo dei Cavalieri diverrà scuola 120 anni dopo, per volere di Napoleone. E diventò Normale. Lettera maiuscola. Il Cicognini dopo aver allevato Gabriele D’Annunzio e Bettino Ricasoli, Tommaso Landolfi, Sem Benelli, Malaparte e centinaia di grandi e bravissimi e bravi pratesi si rassegnò a diventare una scuola normale. Lettera minuscola. Il fenomeno si completò con lo scorporo del liceo Classico, col professor Ammannati agli ultimi anni di cattedra, trasferito dal 1974 in un nuovo palazzo di via Baldanzi, lindo e senz’anima. Secoli di storia restarono nel vecchio edificio.
Il Convitto Cicognini
Ricordo vergognandomi un po’ un pomeriggio del 1977, quando l’allora rettore Luigi Caiazza che aveva per braccio destro Antonino Pistone, gran pedagogo e tifoso di calcio, invitò l’arbitro Giunti di Firenze per una lezione sui valori dello sport.Chiamò anche me, sedicenne e arrivai col registratore più bello in dotazione a Radio Prato. Alla presentazione “aspirante giornalista e nostro alunno” ribattei con candore: no, io faccio il Cicognini “vero”, in via Baldanzi. Ho sempre detestato essere inopportuno e creare imbarazzi nel privato, anche se l’avrò fatto mille volte nel lavoro. Ma da quel giorno ho la sensazione che tutte le decisioni degli arbitri italiani vadano regolarmente a favore della mia squadra rivale.
Tanti anni dopo, non è dei fischi nel calcio che si parla in piazza del Collegio. Ma dei fischi dei vigili che ci sono e punitivi. Oppure non ci sono. Con la perla di un’antica multa a un’auto su quattro mattoni e le gomme rubate. Questione di punti di vista: non vorrebbero vigili genitori e nonni in doppia e tripla fila all’atto di scendere e far salire il pargolo. Ne vorrebbero di più abitanti e lavoratori in proprio per vedersi liberare posti e riconosciuti diritti pagati (120 euro il permesso uffici) ma difficilmente fruibili con un mosaico di divieti serali in strade contigue, da perder la testa.
Dagli anni Settanta al Cicognini scientifico si diplomarono centinaia di bravissimi ragazzi, diventati colonne della città e brillanti nel lavoro in Italia e all’estero. Però la scelta di privilegiare scolari in età inferiore modificò natura e peso dell’istituto e incise anche sulla piazza che perse adolescenti dalla mobilità autonoma – piedi, bici, moto, qualche auto – per aumentare quelli che arrivavano accompagnati. Un bimbo per macchina: il car sharing era un’idea lontana e qui mai attuata e poi – lasciatemelo dire – la scuola era una passerella per auto, seconde auto, sempre più belle in quegli anni di boom economico e vanità crescenti. Da allora ho sempre visto piazza del Collegio vuota forse solo in agosto o in occasione di lavori, lavaggi con rimozione. Perché piazza del Collegio ha sempre meno funzioni, con la scuola che perse di attrazione, oggi in parte recuperata; le molte abitazioni tutte occupate (per fortuna); i pochi negozi e locali. Due ristoranti, uno global: l’indiano che ricordo buono; e uno local: Che ciccia c’è, ispirato alla scuola di macelleria di Tobbiana: quanto di più pratese e tipico esista. Inoltre, c’è una pokeria. Per il resto, è una piazza di passaggio che collega per la direttrice via Carbonaia porta Frascati e porta al Leone. Fermarsi è impossibile: stalli presi e motivazioni in decrescita. Quando ero ragazzo e facevo cose da piccolo adulto in piazza c’era la Utet del signor Daneri con libri che non avemmo mai comprato ma era interessante vedere per attualità. Poi il Cepac galleria di artisti amatoriali o in ascesa, animata da Roberto Palma, testimonianza assieme a un’altra decina di spazi di quanto la città amasse l’arte, anche contemporanea, e ne acquistasse pure, ben prima del Pecci. Poi, c’era il baretto davanti alla scuola che alle 10 di mattina aveva già “fatto giornata” con le merende dell’intervallo. E la redazione di Avvenire, cronaca di questa città mai baciapile, ma laboratorio di integrazione e fermenti sociali ed economici. E il portone del Sert, con Silvestro Bardazzi poi don Silvano Vannucchi e giovani pionieri dell’obiezione di coscienza a soccorrerlo.nuovi disposti della società. Per contrappasso, dopo il trasferimento del Sert la droga fu per anni la piaga della vicina Sant’Orsola e dei suoi giardini.
Piazza del Collegio
Ma la vera attrazione per vent’anni fu affidata a un precario cancello arrugginito che consentiva accesso e uscita – quasi abusivi – all’ospedale, parte nuova, direttamente dal centro. Un servizio in cui nessuno credette fino in fondo. E fu un errore, che finì per incrementare le auto sugli ex Macelli, via Cavour. E avrebbe reso vita e senso a piazza del Collegio. Oggi qualcuno (fra i più convinti Jonathan Targetti) caldeggia un posteggio sotterraneo nel futuro parco urbano, creando nell’ingresso al vecchio ospedale lato via Cavour una nuova porta d’accesso al centro storico. Dopo il flop del progetto di park interrato sul Mercatale e il parziale insuccesso del Serraglio fra i residenti di piazza Ciardi c’è da pensarci. Ma facciamolo, vivaddio, litighiamoci su perfino, sull’ipotesi di creare posti auto vicini, liberando piazza del Collegio da metalli morti a favore della carne viva di residenti soddisfatti per quasi tutto, a parte il traffico e la sosta. E vorrebbero chioschi e panchine in estate. Residenti che ricordo legati da una rete quasi parentale, in un giorno di befana di fine Novanta, quando per le esalazioni di una stufa morì una coppia di anziani col cane. Sincero cordoglio, aiuti ai parenti di sangue. Con la casa sigillata dagli inquirenti chiesi le foto, come si faceva quando la cronaca era sul posto e non sui social. Me ne portarono una con la coppia abbracciata al cane. Se fra vicini ci si scambiano ricordi così intimi è segno di legami affettuosi, valori e buoni sentimenti che è giusto ed è bene non restino dietro i portoni ma si liberino in strade con meno auto e più teste di cuori, davanti a una scuola che non sia solo un muro con mille finestre. E apra in estate il giardino. Almeno in attesa del parco nel vecchio ospedale annunciato da sempre e finora sopraffatto da una tiranna burocrazia (speriamo solo quella) Collegio e convitto richiamano nel nome l’atto del legarsi, lavorare e vivere insieme. Vogliamo dar vita reale a dei nomi così belli?