Zia Caterina: “Non soIo Meyer: io al Santo Stefano fra i pazienti adulti” VIDEO
La taxista del cuore opera da "umanizzatrice delle terapie" portando sorrisi al day hospital
L’austero corridoio che accompagna alla camere di chemioterapia incomincia a pigolare. È un sibilo più acuto che melodioso, presto sommerso dal brusio delle infermiere che si fa vocio allegro. È quasi mezzogiorno, non c’è poltrona, letto o lettiga libera. Ago nel braccio, tutti aggrappati alla vita. Un’altra vita, non solo quella del corpo, annuncia quella stridula cacofonia che penetra nei timpani a folate, come i respiri di un mantice. La smorfia dubbiosa e infastidita dipinta sul volto dei pazienti si scioglie in sorriso appena la fonte di quel suono si manifesta alla soglia di camera.
Zia Caterina.
Di bianco vestita, cappello a cilindro, occhialini candidi rotondi, ombrellino che si apre e volteggia movendo l’aria. In mano un pollo di gomma pure lui tutto bianco e crestina rossa che si gonfia e si sgonfia nel fischio acuto dal becco giallo.
Caterina, la fata dei bimbi del Meyer che anche all’estero conoscono ed amano, si affaccia a un mondo non suo. Adulti di tutte le età, forti speranze ma nessuna illusione, indisposti a farsi distrarre. Son lì per la cura di cellule invisibili e subdole. Non per quella vistosa Mary Poppins che vuol portare vita. La resistenza dura l’attimo del suo Buongiorno. Voce squillante e piroetta. Caterina ha già vinto, nell’attimo in cui dai tre letti della camera si alzano sei mani a farle ciao. Sei mani, comprese quelle che sarebbero rimaste adagiate al materasso o al bracciolo perché da lì entra la chemio e non ci si azzarda a muoverle. Finché non arriva lei e rompe quel primo tabù.
Zia Caterina al Santo Stefano
Caterina è in vantaggio perché tutti la conoscono, col suo Taxi Milano 25 di Firenze. Per lei è facile, conoscere noi. Chiede nome, età. Come sei giovane, Laura. E bella. E hai tre figli. Laura si sfila il cappellino da sci e si mostra come non avrebbe immaginato o voluto. Caterina si volta agli altri letti Tu? E tu? Ci raccontiamo per le cose belle che abbiamo. Famiglie, vita, lavoro. Nessuno domanda o rivela ciò che ci saremmo certamente già chiesti o avremmo ammesso, se non ci fosse stata Caterina. Con garbo e delicatezza, ma di certo avremmo domandato: scusi, lei dove?
La geografia del corpo.
Con Zia Caterina invece non esiste più il male e a quel dove lasciato sospeso si aggiungono altre parole e la frase diventa: dove abita?. O dove lavora? E d’un fiato: lì siete stati allagati? Il male collettivo che ha colpito a zone la città caccia il male che ognuno ha dentro.
Zia Caterina a chemioterapia
Siamo noi, ora a interrogare Caterina. Perché sei qui e non dai bambini? La Zia si addentra in una storia di cuore e burocrazia. “Sono nata col Meyer e lì è il centro della mia vita. I bambini”. Al mercoledì non c’è accesso per ragioni organizzative e lei, Caterina ha chiesto di poter frequentare gli adulti qui a Prato, Ponte a Niccheri ed Empoli. Per darle libero accesso l’Asl ha creato un progetto. “Umanizzatrice delle terapie“.
Un rammarico: “posso accedere solo ai day hospital come chemioterapia, non ai reparti. Lì, solo se voglio raggiungere un preciso paziente”. “Coi bimbi mi presento e mi amano subito o mi respingono e io riprovo. Gli adulti sono bloccati a letto, non scappano. Entro e se qualcuno cade nel tranello scatta l’amicizia”.
Nessuno si nega. Chi butta un bacio, chi chiede un selfie. L’infermiera che entra abbraccia Caterina, e invitandoci al dialogo, la porge ai pazienti come una sorta di medicina.
Zia Caterina in ospedale
A Prato Caterina Bellandi è di casa. Famiglia del Montalbano, qui scuole e lavoro nella sua prima vita, culminata con la morte per malattia di Stefano, il fidanzato. Che aveva un taxi e lei lo ha ereditato per continuare a sentirlo accanto. È al servizio dei bimbi del Meyer e per un giorno anche degli adulti. Mattarella lo scorso inverno le assegnò il cavalierato, che ritirò presentandosi col taxi, abbigliata da Zia Caterina accanto alla grisaglia presidenziale.
Vive a Firenze, Caterina. Dove ha stretto legame spirituale con un altro pratese dal dress code opposto al suo: una sempre variopinta e fantasiosa l’altro fisso in bianco avorio. Lui è Bernardo Gianni, al secolo Francesco, abate di San Miniato a Monte chiamato nel 2019 da papa Bergoglio a dirigere gli esercizi spirituali in Vaticano e di recente ideatore e promotore dell’affollatissima camminata per la Pace. Quando era Francesco e non ancora dom Bernardo, è ricordato nella sua Prato come brillante ragazzo, studente al classico Cicognini. Due rivoluzionari, Bernardo e Caterina, che si sono incontrati per quelle che chiamano “Dioincidenze“. E travalicano il perbenismo di chi giudica l’abito sgargiante e per nulla mistico che nonostante tutto fa di Caterina se non una monaca una “oblata secolare benedettina”, come da consacrazione avvenuta nel 2017. Caterina irrompe a San Miniato coi colori suoi e del taxi nel sagrato, in chiesa e in sacrestia sempre accolta, sempre di casa. Come si legge nel libro che porta il nome della sua casa viaggiante “Taxi Milano 25”, scritto con Alessandra Cotoloni e prefazione di Simone Cristicchi, che lei mi dona nel parcheggio del Santo Stefano. Un giornalista lavora vivendo e stavolta l’ho fatto senza immaginare che mi sarebbe successo, girando un video nel posto più imprevedibile, l’ospedale. Sorpreso e coinvolto dal pigolio di un pollo finto e dall’umanità di una donna vera.