1 Dicembre 2023

Teresa Moda, 10 anni dopo: le due titolari condannate sono ancora in Cina. Il console generale cinese: “La comunicazione tra dipartimenti giudiziari può risolvere il problema”

Le imprenditrici lasciarono il nostro Paese dopo la sentenza di primo grado, che poi la Cassazione ha reso definitiva con pene di 8 anni e 6 mesi e di 6 anni e 10 mesi


Quattro operai furono sorpresi nel sonno, mentre riposavano nei loculi dormitorio del soppalco abusivo della fabbrica. Per salvarsi avrebbero dovuto scendere le scale e percorrere altri trenta metri in mezzo alle fiamme che si erano già estese al materiale tessile, ben 250 quintali accatastati ovunque. Non ce l’hanno fatta: sono morti intossicati, come i due operai che dormivano al piano terra, nella parte posteriore del capannone, e come l’ultima vittima che dal soppalco ha provato a scappare spaccando il vetro di una finestra, senza sapere che dietro c’erano le sbarre, ed è stata uccisa dai fumi, ancora più devastanti per l’effetto-camino. Sono morte così, all’alba del 1 dicembre 2013, le sette vittime cinesi della Teresa Moda, la confezione di via Toscana al Macrolotto travolta da un incendio scaturito, secondo i rilievi dei vigili del fuoco, dal malfunzionamento dell’impianto elettrico non a norma. Una delle tante violazioni alle normative antincendio e di prevenzione della sicurezza sul lavoro.
La vicenda portò alla ribalta nazionale le drammatiche condizioni di vita e di lavoro di tanti operai cinesi, il sistema di sfruttamento sotteso al distretto cinese dell’abbigliamento che ha in Prato un punto di riferimento per il commercio di tutta Europa. La tragedia colpì profondamente anche Papa Francesco, da pochi mesi eletto al soglio pontificio, il quale due anni dopo, nella sua visita a Prato dal Pulpito di Donatello ricordò le sette vittime, cinque uomini e due donne, e nell’invocare un lavoro degno per tutti definì il rogo alla Teresa Moda una “tragedia dello sfruttamento delle condizioni umane di vita”.

L’inchiesta e i processi
Dall’inchiesta della Procura di Prato ebbero origine due processi: il primo nei confronti dei titolari della ditta; il secondo che ha visto sul banco degli imputati i proprietari del capannone. Questi ultimi – i fratelli Massimo e Giacomo Pellegrini, amministratori dell’immobiliare Mgf – sono stati assolti “perché il fatto non sussiste” dalla Corte di Cassazione, dopo le condanne intervenute nei primi due gradi di giudizio.
Nel 2018 sono state invece condannate in via definitiva (per omicidio colposo plurimo aggravato, omissione dolosa di cautele antinfortunistiche, favoreggiamento della permanenza al fine di profitto di clandestini, incendio colposo aggravato) le titolari di fatto della Teresa Moda, le sorelle Lin Youlan (8 anni e sei mesi) e Lin Youlin (6 anni e 10 mesi), mentre il marito di quest’ultima, Hu Xiaoping, fu assolto già in Appello dopo la condanna di primo grado. Nel corso dell’iter processuale – che si è svolto con rito abbreviato – le due imprenditrici hanno raggiunto un accordo con le famiglie delle vittime, le quali in cambio della rinuncia a proseguire ulteriori azioni civili e penali in Italia e in Cina, hanno ricevuto ciascuna una somma in valuta cinese equivalente a circa 110.000 euro. “Si tratta di una cifra che in Italia può apparire contenuta, ma bisogna considerare che i parenti delle vittime vivono in Cina ed è a questo Paese che la somma va parametrata” spiega l’avvocato Gabriele Zanobini, che ha assistito i tre imputati cinesi.

La pena non espiata
Quanto all’esecuzione della pena, Lin Youlan e Lin Youlin hanno scontato soltanto i 10 mesi di custodia cautelare in carcere durante la fase delle indagini preliminari. Prima che la sentenza diventasse definitiva, infatti, le due sorelle erano tornate in Cina grazie alla revoca del divieto di espatrio ottenuta dal Tribunale di Prato (contestualmente alla sentenza di primo grado, nel 2015) e dal Tribunale del Riesame (fra primo e secondo grado).
A sentenza divenuta irrevocabile, la procura generale ha emesso un mandato di arresto internazionale chiedendo l’estradizione delle due condannate. Ma a quanto pare, secondo la Repubblica Popolare Cinese le due cittadine orientali hanno già pagato il conto con la giustizia e non devono rispondere alle autorità in Italia. “Secondo la normativa cinese – spiega l’avvocato Gabriele Zanobini – il reato di omicidio colposo non è più perseguibile quando interviene il risarcimento del danno. Per questo motivo, siccome il reato per cui l’Italia chiede l’estradizione, in Cina non è punibile, non sussistono i presupposti per dare risposta positiva alla richiesta di estradizione in Italia”.

Il console generale cinese: “Attraverso la comunicazione tra dipartimenti giudiziari si può risolvere questo problema”
Sulla questione abbiamo interpellato il console generale aggiunto della Repubblica Popolare cinese a Firenze, che al Centro Pecci nel corso della cerimonia del decimo anniversario della tragedia, ha preso la parola per esprimere “la volontà di collaborare con le istituzioni di ogni livello per la sicurezza dei lavoratori” e ha colto l’occasione per rappresentare “l’opinione della comunità cinese sullo stato della sicurezza in senso più ampio”.
“Recentemente – ha detto – i cittadini cinesi residenti a Prato hanno segnalato casi di furto e rapine a cui hanno assistito e di cui sono stati vittime, subendo perdite economiche, di fatturato, e che hanno causato effetti psicologici negativi. Spero che la situazione venga tenuta in cosiderazione dal governo a tutti i livelli e che grazie agli sforzi attivi da tutte le parti, le condizioni di sicurezza migliorino. I casi sopra citati non influenzano i veri sentimenti di amicizia dei cinesi di oltremare nei confronti di degli italiani e dei pratesi”.
Poi, a proposito di reciprocità, alla domanda su che cosa osti al ritorno in Italia e all’espiazione della pena per le due titolari della Teresa Moda, questa è stata la risposta.

Dario Zona