Piazza Lippi, un pezzo di Prato antica e un’ingrata modernità
Negozi con cognomi tradizionali, vivace mercastino ma anche spaccio e problemi con l'immigrazione. "Potrebbe essere la Sala di Prato"
Piazza Lippi è la Prato che vorrebbe chi ha trascorso la vita nella fatidica città di una volta e vorrebbero quanti di quella città coltivano nostalgia pur non avendola vista e vissuta. Negozi di vicinato, con prodotti freschi, cognomi pratesi sulle insegne (unico esotismo il Vecchio Calafuria, ma richiama sorella Livorno) e prezzi forse appena più alti dei supermercati, studi professionali lì da sempre. E la tettoia in ghisa che ripara il Mercatino (in antico si chiamava così) di frutta e verdura, la nostra Bocqueria barcellonese, o per restare alla mai-sorella Firenze, il mercato di San Lorenzo, grande grande e al chiuso, o il Sant’Ambrogio entrambi belli, ma quasi ghetti, segni di resa alle griffe di qualsiasi merce che hanno mangiato ogni fondo in cui nel centro fiorentino si comprava da mangiare.
Chi ci vive, ha un modello più vicino e accessibile, in barba al campanile che pur domina l’ambiente: “Piazza Lippi potrebbe essere la Salapistoiese trapiantata a Prato. Togliendo auto e motorini, specie la sera. Senza bus e con l’uscita lì dei visitatori del Museo dell’opera del Duomo. Ora dominano spaccio, traffico, sosta selvaggia, decadenza del commercio a favore dell’etnico, mentre potremmo, come a Pistoia, avere localini di qualità e una nostra movida anziché far da transito a quella diretta nel resto del centro” riferiva Enrico Davalli, presidente del comitato sorto in un palazzo di via Magnolfi, denominato Condominio Lippi,Un po’ di decoro ai lati, risolvibile forse con un deposito in più e il loggiato di piazza Lippi sarebbe bellissimo, da bello che è. E certe sere – se non certe notti, per rispetto dei residenti – rianimabile con cultura e musica sostenibile (detesto la parola, ma rende l’idea). Ricordo sporadiche e gradevoli iniziative: nell’86, prima dei mondiali Sandro Veronesi e io presentammo lì un nostro fake su carta rosa della Gazzetta, dal titolo PaoloDanteRossi, letteratura e pallone con l’illusione di nuove Italia-Brasile. L’attore Victor Cavallo fu entusiasta di quel luogo “che a Roma ne spariscono due al giorno”. Poi inviti a parlar di chiese, monumenti e libri con Roberto Toccafondi, senza microfono che tanto ci si ascolta lo stesso. Toccafondi espone lì ogni mese libri senza tempo e di molti padroni, lucidi ed immortali pensieri su pagine ingiallite. E poi, piccoli concerti vissuti da spettatore con strumenti non amplificati, perché tutto in piazza Lippi è come una volta. Solo le bilance che espellono gli scontrini tolgono la poesia del prezzo fatto a occhio o a peso. E mica era per forza più caro.
piazza Lippi. Il Mercatino
Unica concessione al moderno e alla tecnologia, in piazza Lippi sono i bagni pubblici a gettone, che altri aspetti della modernità – la droga dilagante, legata all’immigrazione – hanno fatto chiudere: libertà di deiezione soppressa dal libertinaggio di iniezione.
E, per proseguire con dolenti rime: prostituzione (c’è mastro Bergonzoni al Metastasio in questi giorni: l’omaggio del calembour sgorga naturale).
Prima di Natale 2013, vidi una giovane cinese attendere clienti lì a due passi. Poi un’altra. Tre. Oltre il muro, il vescovado, gli affreschi del Lippi. Troppo: scrivemmo, scrissi. Sparirono, ma erano uno scarabocchio rispetto allo spaccio di droghe e non di corpi peraltro mai volgarmente esibiti, che assediava piazza Lippi. “Assedio” è la parola giusta. La piazza col mercato è terminale o origine di via Pier Cironi, via San Giorgio, via Santa Margherita e Canto alle tre gore. Le strade del centro-storico, con via Magnolfi, diventate lembi di centro-Africa. Con appartamenti ed empori (ed è un diritto), e spaccio e risse furibonde (e non va per nulla bene). Nessuno tocca i pratesi, va detto e un prefetto coniò la definizione di “percezione di insicurezza“, minimo sindacale per chi passa sfiorando quegli omoni che si pestano a sangue.Chiedo scusa per le autocitazioni, ma abito a due passi e capita di esser testimoni. Come la domenica del 2015 alle nove di sera quando in auto, appena superata piazza Lippi mi trovai in mezzo a un regolamento di conti. Canottiere e muscoli sudati, tonfi di pugni a segno, sangue, qualche botta sul cofano e l’istinto del cronista che mi portò a girare un video tra rischi tremendi. Auto-trascrivo da La Nazione di quel 23 giugno: “il cittadino che si trova lì in mezzo non può non indignarsi per questo lembo di Prato sotto l’abside del Duomo dove l’unicalegge è quella dei muscoli di omoni grossi e vocianti, di donne che gridano nel mulinare di mani. Uomini e donne che picchiandosi fra loro bloccano il traffico e terrorizzerebbero i pedoni, se ancora qualcuno si avventurasse a piedi lì”. Lì, in via dei Tintori che ansimava ed ansima, tra via Garibaldi, autostrada di pedoni e il Mercatale autostrada di tutto quanto proceda a motore.A proposito di pedoni e motori, piazza Lippi accoglie gli uni e gli altri. I bus che non piacciono ai residenti ma provvidenziali per il mercato e le auto che trovano metà parcheggi riservati. La chiusura del presidio Asl ha sottratto presenze bisognose di colazioni, dopo i prelievi al mattino, ma la piazza sopravvive ai problemi. Tranne quelli di incombente pipì, coi bagni chiusi e un brutto segno di resa. Rimediare si può, magari con un sorvegliante umano. Il segnale di frequente “occupato” sulla porta, che crea occupazione.Garrula e civettuola, piazza Lippi fa rimpiangere la chiusura della piazzetta sorella di via del Pesce, dedicata al mercato delle scarpe e come ricorda Urano Corsi, con un vespasiano all’aperto. Troppo, per le finestre del Comune costrette a restar sigillate per il vocio sottostante. Sindaci dal raffinato orecchio (o forse i predecessori) ne ordinarono la chiusura relegando la piazzetta a stanco pensionsto per bici.
Tornando all’antico e sempre attuale Mercatino delle verdure, meglio la verve dei fruttivendoli e l’allegria di radicchi e cicorie, insalate e melanzane che a sera loro malgrado e senza colpe lasciano spazio lì vicino ad altri venditori. Di erbe pure loro, ma assai diverse, e molto di più. Per questo, vanno ringraziati i Lippi (ma chi? Filippo, Filippino, tutti e due?) che ne orientarono la toponomastica. Se, come a Verona, si fosse chiamata piazza delle Erbe, sai quante ironie, noi pratesacci?