Piazza san Francesco cui TvPrato dedica il.focus settimanale, ha la vocazione di unire o almeno di conciliare gli opposti. Religiosa e laica, benpensante e fricchettona, calligrafica e naif, l’unica piazza a pianta quadrata della città vive un sonnacchioso ma vitale presente, nel quale riecheggiano risate, canti, musica, sgassate di motori truccati più per rombare che per correre. Rumori e suoni che provengono dagli anni Sessanta e Settanta, quando i due bar che si affacciavano sui lati di via Rinaldesca, il Magnolfi e l’Haiti si dividevano non ceti sociali, ma categorie dello spirito: nel primo “normali” perbene e prevedibili; nel secondo liberi pensatori, estrosi, dispari, sognatori. Separati dalla testa, non dal portafogli, con frequenti migrazioni, senza pentimenti e retromarce. All’Haiti incontravi Silvio Giannini, renitente alla giacca, volto sgherro, animo aperto, battuta lancinante e ciononostante eletto consigliere comunale nel Partito Liberale come non avresti immaginato, imperante il Sessantotto. E arrivava il Marconi materassaio con la chioma bianca e sciolta come dio, sul vecchio furgone Ford a disegni naif virati azzurro. Al bancone, cappuccini non per precoce sveglia, semmai tirando l’alba.Il portone accanto all’Haiti era quello della Roncioniana, ieratica biblioteca dove, prima della Lazzerini, non osavamo addentrarci a studiare. Libri ovunque, con Marcello Gori, che lì abita ancora e sotto casa aveva di qua la cartoleria, di là la Libreria del Palazzo da cui passavano scrittori di grido. Cultura e improvvisazione, libri e libertà: in san Francesco trovavi tutto e il suo opposto, come nel destino di quasi tutte le piazze d’Italia consacrate al patrono santo alle quali il Risorgimento impose segni di un patrono laico. A Pistoia ancor oggi la grande piazza ha doppio nome: san Francesco e Mazzini. Qui ci si è limitati ad erigere l’obelisco a Garibaldi, incoronato di alloro ogni ricorrenza di Porta Pia. E a pensarci bene, anche il santo Francesco non andava poi tanto a genio alla Roma papalina.
Non c’era contrasto, invece, nelle tre banche (Napoli all’ingresso, poi Comit e Toscana) che cingevano la chiesa dove riposa il mercante Datini, né fra i gruppetti che si spartivano senza invasioni di campo il vuoto fra la chiesa e la fontana. E si spostavano all’arrivo della Lazzi da Firenze o Viareggio. Quel pullman e la biglietteria che annetteva una tavola calda disadorna e odorante di cibi non buoni procurò alla piazza gli strali del pittore Rinaldo Franck Burattin, che la bollò di provincialismo.
Oggi, ma ovunque nel mondo, non solo in quella piazza, è sparita la spensieratezza del bar Haiti. San Francesco ha il pregio di essere forse il solo luogo del centro che non abbia bisogno della notte per vivere. Anzi, la notte è un tristo ricovero di metallo inerte, col parcheggio a spina di pesce per un centinaio di macchine cui è difficile accedere e uscire. Auto in sosta anche entrando dalle Carceri e al centro motorini dove un tempo ci si ritrovava a chiacchiera. Auto e moto ovunque. Come se san Francesco dovesse sopportare, da Cenerentola, il farsi bellissima della piazza sorella, le Carceri liberata al proprio splendore dalla sosta e dal transito.
Un gran parcheggio sì, ma in san Francesco c’è appena un affaccio vuoto, fra le vetrine dei fondi dopo che è stata completata l’operazione più laboriosa: Conad al posto della Banca Toscana, con clientela tutto il giorno e coi ragazzi dell’università americana che non devono più uscire dal centro per la spesa. E l’edicolante Pollastri, erede dei Lorenzoni, espone nel chiosco più libri che giornali ed è il più attivo esponente in città della precaria categoria. A proposito di libri, san Francesco ha completato una bella metamorfosi culturale: al calar della lettura, per la chiusura della libreria del Palazzo e l’apertura della Lazzeriniana lì a due passi s’inalza la musica con la scuola Verdi, palestra di ogni ragazzo che si accosti al piano, ai fiati, al canto. La Verdi, nel tratto di via Santa Trinita che è ancora piazza tiene viva quest’ultima con le note che risuonano dalle quiete stanze. E con brulicare di bambini e ragazzi che ha ispirato l’apertura di localini davanti alla scuola. Ma il capolavoro di san Francesco è non esser più il capolinea dello struscio che in centro vive appieno solo in via Garibaldi, nel corso, via Ricasoli e rare diramazioni. Oggi san Francesco è la porta sulla strada più vitale entro le Mura: santa Trinita, miracolo di un manipolo di commercianti e residenti mai arresi. Una strada di negozi del posto e poche o nessuna catena, che la notte dorme, senza brindare, ballare, cantare. Fra il centro delle mescite e delle “griffette” verso il comune e il duomo e il centro ruspante fino a porta Santa Trinita, San Francesco è un tessuto connettivo che unisce gli opposti: locale col commercio familiare e globale con l’università del New Heaven e il colosso del bio. La piazza si tiene stretto il passaggio delle auto, ma sogna la pedonalizzazione, con mercatini di maggior respiro e qualità nel fine settimana. E nascosto nella manica tiene il chiostro dell’ex convento, l’incanto della cappella Migliorati col cielo stellato. Fuori, servirebbe il bruschino sul marmo a Garibaldi, annerito da smog. E spostare i bidoni a fianco dell’ingresso del bar Magnolfi. Che l’aperitivo con l’immondizia a un metro è un contrasto che nemmeno la piazza più conciliante e “democristiana” del mondo sopporta volentieri.
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disegno di Marco Milanesi