Il Comune di Montemurlo, a sessant’anni dalla tragedia del Vajont, ha intitolato il giardino di via Ricasoli alla giornalista Tina Merlin, che per prima, dalle pagine de L’Unità, denunciò la pericolosità della diga. Alla cerimonia, nonostante il giorno feriale, erano presenti tanti cittadini e le associazioni del territorio.
«Un’intitolazione alla quale teniamo molto per ricordare una donna determinata nel portare avanti il suo lavoro di denuncia delle criticità dell’invaso del Vajont. Tutto questo poteva essere evitato se solo si fosse dato retta a quei montanari che conoscevano la fragilità della loro montagna. Tina Merlin diede loro voce e non si fermò neppure quando la denunciarono e la portarono in tribunale per “procurato allarme” – dice il sindaco Simone Calamai– Oggi, attraverso il ricordo di Tina Merlin, rendiamo onore alle oltre 1900 morti di quella terribile tragedia».
Un’intitolazione che rientra in un percorso portato avanti dall’amministrazione comunale, perché, come spiega l’assessore alle aree verdi, Alberto Vignoli « è importante utilizzare lo strumento della toponomastica è l’occasione per ritrovarsi come comunità e riflettere insieme su quelli che sono stati gli episodi o personaggi che hanno segnato la storia del nostro Paese».
Chi non potrà mai dimenticare la notte tra il 9 e il 10 ottobre del 1963 è il montemurlese Valdemaro Bacciottini, della Bacciottini Fratelli, testimone diretto della tragedia del Vajont. Quel giorno di 60 anni fa Valdemaro era poco più che ventenne e stava prestando servizio militare come carrista a Sacile, in provincia di Udine.«Quella sera verso le 22,30 ero in armeria a sentire una partita alla radio con i miei compagni quando sentimmo come un terremoto e scappammo fuori. Alle 2 scattò l’allarme, fummo caricati su dei camion e raggiungemmo la zona del Vajont. A piedi risalimmo la montagna, avvolta dalla nebbia. Non posso dimenticare quei passi – racconta ancora commosso Valdemaro – passammo attraverso un cimitero di corpi, come accartocciati, polverizzati. Della chiesa era solo rimasto il pavimento, il paese non esisteva più. Iniziammo subito a scavare alla ricerca di superstiti: ho ancora impressi gli occhi impietriti dalla paura di due bambine che trovammo in uno scantinato. Ho passato una settimana a recuperare morti. Esperienze come quelle del Vajont non si possono dimenticare, neppure dopo 60 anni». Un attestato di benemerenza a firma dell’allora presidente del consiglio, Giulio Andreotti, che Valdemaro custodisce in ufficio. ricorda il servizio prestato a favore del soccorso dei superstiti e il recupero delle vittime.