17 Settembre 2023

Rossella Foggi, guida turistica: “Gli stranieri cercano cibo cinese, i pratesi storie e fabbriche. Giovani, ora raccontate la città con le nuove tecnologie”

Da più di trent'anni accompagna i turisti a conoscere Prato. Con lei scopriamo chi sono e cosa chiedono gli italiani e gli stranieri in vacanza sul nostro territorio


 

Rossella Foggi, guida turistica, cosa conoscono, di Prato, i visitatori che arrivano da fuori città?
“I cinesi e il tessile. Del primo hanno chiara la propensione all’illegalità, diffusa al tempo dei blitz  trasmessi nei telegiornali. Del secondo hanno una vaga idea: molti pensano che sia pressoché  estinto perché i cinesi hanno portato via il lavoro ai pratesi”.

Stereotipi anni Novanta.

“Appunto”.

Da più di trent’anni Rossella Foggi accompagna i turisti a conoscere Prato. Laureata in storia dell’arte, dopo gli studi al Classico Cicognini, conosce e ama profondamente la sua città. Con lei scopriamo chi sono e cosa chiedono i turisti italiani e stranieri che raggiungono Prato. E cosa cercano i nostri concittadini quando vanno alla scoperta di storia e bellezze della loro città.

Gli italiani. Gruppi in pullman o pochi amici in auto?

“Molte, le coppie che hanno visitato le grandi città d’arte e desiderano approfondire. I pullman in genere raggiungono anche la Villa medicea di Poggio a Caiano”.

Domanda cattiva: per i viaggiatori organizzati, Prato è un “riempitivo” rispetto alla Villa?

“No. Le due mete hanno pari dignità. Per Prato le agenzie chiedono il tour del centro. Si parte dal Duomo, poi passeggiata fino al Cicognini con sosta da Mattonella, piazza delle Carceri con visita del Castello che è aperto e gratuito. Se la disponibilità di tempo lo consente si raggiunge il museo del tessuto. Il turista torna a casa con il ricordo della Villa Medicea e di un bel centro storico”.

E gli stranieri?

“Per i gruppi organizzati non c’è molta differenza, rispetto a quanto chiedono gli italiani. Invece poco prima del Covid mi trovai a far fronte a una richiesta piuttosto sorprendente, da parte di studenti internazionali iscritti alle università fiorentine”.

Quale?

“Essere accompagnati nel quartiere cinese alla ricerca di prodotti alimentari che non trovano a Firenze. Erano studenti giapponesi, cinesi, coreani, americani molto interessati al cibo orientale di cui trovano a Prato ingredienti sconosciuti al commercio fiorentino. E c’è dell’altro”.

Prego.

“Apprezzano i ristoranti cinesi, che qui hanno menu per cinesi e non adattati ai turisti, come a Firenze, Venezia, Roma e un po’ in ogni città”.

Venivano qui per non trovare gli involtini primavera, ormai universali.

“Esatto. Qui si mangia cinese come in Cina”.

Potrebbe essere una magnifica attrattiva turistica.

“Dopo il Covid non ho più avuto avvisaglie da parte di quegli studenti. Il turismo alimentare, lo chiamerei così anziché enogastronomico, in quanto comprensivo dell’acquisto di ingredienti è pieno di incognite, per poterlo ufficialmente promuovere. Un conto è ciò che si trova nei supermercati, altro ciò che è diffuso magari per strada”.

La valutazione dei ristoranti, apprezzati per la cucina originale, invece apre mille orizzonti. Prato potrebbe avere i migliori ristoranti etnici d’Italia.

“Sulla cucina cinese la città è indubbiamente ben fornita. La propensione all’autosufficienza di quella comunità consente di trovare anche fuori dalla tavola prodotti e servizi in linea con usi e tradizioni cinesi”.

I turisti italiani chiedono di visitare Chinatown?

“A me non lo hanno mai chiesto”.

E i pratesi?

“Nemmeno loro. Del resto, vivono Chinatown attraversandola nella zona delle residenze o in quella del lavoro ai Macrolotti”.

I pratesi amano essere turisti della propria città?

“Sì. E rappresentano una parte cospicua della nostra clientela. È bellissimo vederli sorpresi per bellezze che hanno a portata di mano e di cui spesso dichiarano di non avere mai avuto notizie”.

Tutti così?

“No. C’è una fascia rimasta all’oscuro, con cui si parte dalla base. Poi c’è il grosso dei pratesi, che si iscrive alle visite che l’associazione ‘Fare Arte’ organizza nei week end. per approfondire”.

Approfondire come?

“La Prato dei personaggi, ad esempio.  Delle grandi donne che punteggiano con testimonianze o tracce della propria vita il centro storico. Margherita Datini; Clara Calamai di cui sta per aprirsi una mostra e di cui mia nonna Adriana Gabbiani mi raccontava un aneddoto straordinario: un giorno Clara si fece trovare da lei che era sua amica in un catafalco, come morta. Amava sorprendere. Si prosegue con le case natali di Sarah Ferrati; Iva Pacetti. Donne e madonne, prendendo spunto dal libro di Pierfrancesco Benucci. Come donna-Madonna l’archetipo è ovviamente Lucrezia Buti, la suora di cui s’invaghì Filippo Lippi, frate, che la sposò, la ritrasse ovunque e ne ebbe il figlio Filippino, a sua volta grandissimo pittore”.

Una meravigliosa storia d’amore e d’arte. Altre città ci avrebbero costruito nel tempo mille narrazioni ed oggi fiction di successo.

“Si parla da tempo di una fiction, l’aspettiamo. Il nostro racconto ai turisti punta più a stimolare emozioni che a diffondere nozioni. E la storia di Filippo e Lucrezia, coi dipinti, raggiunge il cuore delle persone”.

Altre destinazioni delle visite  tematiche?

“La Prato delle fontane, delle torri. La città di Malaparte dalla casa natale in via Magnolfi al Caffè delle Logge, al Cicognini, poi Coiano, Le Sacca, il Cavalciotto. Volendo, nella bella stagione, fino al mausoleo a Spazzavento Spesso mi faccio seguire da un attore per un reading malapartiano, oppure per le lettere di Margherita Datini. Talvolta porto uno schermo per mostrare di Clara Calamai i punti salienti dei film: dal seno ne La Cena delle beffe a Profondo rosso”.

Non comodissimo.

“E tutto a mie spese. Non sempre, l’assessorato viene incontro”.

Cosa pensa del lavoro che sta facendo l’assessorato al turismo?

“Si dà molto da fare, dialoga, partecipa. È particolarmente assorbito dai progetti sul turismo industriale, con visite alle fabbriche che rischiano di esser riduttive se non connesse alla cultura. La visita ai lanifici a esempio, ha uno sbocco naturale nel culto della Sacra Cintola, dopo la Sindone una delle più importanti reliquie tessili del cattolicesimo. Stiamo accostando questi due elementi?”.

Nella zona sud est di Prato, abbiamo due potenziali poli turistici: uno ci riallaccia a un passato antichissimo, l’altro dovrebbe proiettarci nel futuro: la città etrusca di Gonfienti e il museo Pecci.

“Il Parco archeologico di Gonfienti è aperto solo su prenotazione, passando attraverso la Sovrintendenza. Purtroppo a Prato non è interessato raccogliere in un museo i reperti di vasellame, oreficeria raccolti nell’area dell’antica metropoli etrusca. Il museo è nato a Campi Bisenzio. I campigiani non ne avvertono l’appartenenza e non lo frequentano. I pratesi ci vanno pochissimo. La beffa è che nel vecchio Mulino di Gonfienti sono esposti reperti raccolti nella zona di Lastra a Signa, estranei al nostro territorio. Non ha senso siano lì. Prato si è giocata la città etrusca”.

E il Pecci?

“Nessun pratese chiede di visitarlo tramite noi guide. All’epoca della riapertura del 2016 guidai vari gruppi alla mostra sull’Evoluzione dell’uomo, che raccontavo con passione perché mi piacque moltissimo. Ho sensazione che i pratesi non abbiano abbattuto la barriera concettuale e culturale rispetto al Pecci. I visitatori che accompagnai restarono interdetti, di fronte a dieci modelli di telefonino affiancati in base agli anni di produzione. Hanno diffcoltà a classificarla come arte.  Comunque gli appassionati di arte contemporanea si rivolgono direttamente al Museo”.

Qual è la mèta che scalda il cuore al pratese medio?

“L’archeologia industriale. Le fabbriche o ex fabbriche più note ma anche l’ex Calamai a San Paolo su cui ci fu la mano di Nervi. Piace anche, l’ex Peyron a Vernio, che rischia di andare distrutta. Si avverte, che i pratesi lì hanno radici e cuore”.

Vissi d’arte (raccontata). Si può dire, a Prato?

“No, senza il lavoro che svolgiamo  Firenze e come consente la legge, in ogni altra parte d’Italia, una guida turistica non potrebbe vivere di sola Prato”.

Consiglierebbe a un giovane collega di investire nel turismo di questa città?

“No, se si tratta di replicare il percorso della nostra generazione. Sì, purché impari l’arte e punti a divulgarla con il ricorso alle nuove tecnologie. App, Qrcode. Serve un salto di qualità che è nelle mani dei giovani. Solo loro possono realizzarlo”.

La video intervista a Rossella Foggi