25 Dicembre 2021

Una azienda tessile in carcere come opportunità di rinascita

Alla Dogaia è stato aperto un reparto di confezioni del gruppo Pointex, un vero lavoro per dare speranza a cinque detenuti


Quando il progetto fu presentato i promotori dissero subito: «Questa sfida andrà avanti solo se è sostenibile da un punto di vista economico perché si tratta di un lavoro vero». A dieci mesi dall’apertura del reparto di confezioni nel carcere della Dogaia, il titolare della Pointex e committente della produzione, Marco Ranaldo, traccia un primo bilancio e dice: «Sono contento, stiamo ottenendo risultati incoraggianti». I cinque detenuti impiegati nella produzione di coprimaterassi stanno viaggiando ad una media di circa 300 pezzi al giorno e nel mese di giugno sono riusciti a raggiungere l’obiettivo prefissato dai committenti: 6000 articoli finiti e consegnati.

L’ambiente lavorativo all’interno della casa circondariale è stato inaugurato con la benedizione del vescovo Giovanni il primo febbraio di quest’anno, ci sono voluti un paio di mesi di assestamento e poi da fine aprile la produzione è entrata a regime. Grande soddisfazione per la direzione del Carcere, Caritas diocesana e la Società della salute che hanno voluto fermamente questo progetto formativo per i carcerati in vista di un loro reinserimento. E non solo per questo motivo, visto che tra gli operai coinvolti ci sono anche due ergastolani. La gestione del lavoro e dei lavoratori è stata affidata alla Cooperativa sociale San Martino della Caritas diocesana di Firenze, organizzazione che vanta una lunga esperienza con i detenuti nella casa circondariale fiorentina Mario Gozzini, dove da tempo ha aperto un servizio di lavanderia che lavora conto terzi per «l’esterno», mentre la Pointex ha installato, in comodato gratuito, le attrezzature necessarie: cinque macchine da cucire, tavoli, scaffalature e quanto serve per mandare avanti un reparto di confezioni. Due volte a settimana l’azienda porta il materiale semilavorato alla Dogaia e riprende i pezzi finiti. «Siamo a più di 25mila pezzi realizzati – aggiunge Ranaldo –, ma possiamo e dobbiamo fare di più, ripeto: questo non è assistenzialismo, ma un lavoro a tutti gli effetti». I sei lavoratori impiegati hanno una giornata lavorativa di otto ore per cinque giorni la settimana e uno stipendio base di 1200 euro netti al mese. «La loro risposta è buona, c’è un clima costruttivo e stanno lavorando bene», dice ancora Marco Ranaldo che sta già pensando di alzare il livello della produzione facendo realizzare loro pezzi un po’ più elaborati. Si tratta di un altro importante tassello dell’ampio progetto della Caritas di Prato dedicato al contrasto alla recidiva, calcolata, secondo le ultime stime, intorno al 70%.