Finisce l’era Toccafondi: una storia durata 42 anni tra sogni mancati e strappi con la città e i tifosi VIDEO
Qualcuno, scherzando ma non troppo, ha proposto di proclamare il 29 aprile giorno di festa cittadina. Esagerazione e folklore a parte, comunque vada, quella del 29 aprile 2021, resterà una data storica per la città. Perchè si chiude una dinastia, un binomio durato 42 anni. L’Ac Prato non è più proprietà della famiglia Toccafondi. Questa volta per davvero. Cominciata nel 1979 quella tra il Prato e la famiglia Toccafondi è stata una storia fatta di gioie – poche in verità – e dolori. Nel tempo si è logorata, a tal punto che praticamente negli ultimi anni non veniva più considerata dalla quasi totalità dei tifosi la squadra della città ma una sorta di team aziendale. Non l’Ac Prato, ma la Toccafondese.
Eppure per due volte, a cavallo tra la fine degli anni ’80 e i ’90 il Prato di Andrea Toccafondi era arrivato addirittura ad un passo dalla serie B. Sfumato il sogno è cominciato il vivacchaire tra C1 e C2, per 30 anni terreni che il Prato ha bazzicato senza infamia e senza lode tra retrocessioni e risalite. Una mancanza di risultati che ha portato a strappi continui con la tifoseria, che cominciava a vedere nella proprietà Toccafondi un nemico cittadino. Da qui le contestazioni, gli inviti ad andarsene e la spaccatura tra i fedelissimi della proprietà (gli apostoli, come vengono chiamati) e i contestatori. I primi hanno sempre sostenuto il partito dell’aurea mediocritas: ovvero non avremo molte gioie, ma almeno non siamo mai falliti, sorte peraltro toccata a molte realtà. I secondi avrebbero volentieri barattato un anno di gloria rispetto ai trenta di purgatorio.
Passavano gli anni e la famiglia Toccafondi è rimasta sempre lì, anche se qualche tentativo, più o meno riuscito, di passare la mano è stato fatto.
Tra il partito dei sostenitori del “tanto non vuole vendere” e quelli del “nessuno si fa vivo concretamente”, nel 2010 si apre uno spiraglio. In società entra come vicepresidente Nicola Radici, legato al mondo dello sport di alto livello. Sembra l’inizio di una nuova era, un ingresso finalizzato ad una futura acquisizione.
Invece Radici – seppur molto presente – resta solo come socio e dopo qualche anno lascia.
Nel 2014 viene stretta la partnership con l’Inter, si torna a riaccendere la fiamma della speranza, ma in realtà il rapporto dura poco e dalla casa madre a Prato arrivano solo giocatori che fanno fatica anche a farsi notare in Lega Pro. Nel frattempo lo storico patron Andrea ha ceduto il posto di comando al figlio Paolo, che nel Prato ha già giocato come portiere. I risultati sul campo non cambiano e il rapporto con i tifosi se possibile peggiora.
Sono anni in cui le notizie dei possibili passaggi di mano si moltiplicano. Nel 2016 l’ennesimo colpo di scena: Orgoglio Pratese rileva il 51% delle quote e con l’obiettivo dell’azionariato popolare si incarica di restituire il Prato ai tifosi. L’operazione però non dura, nonostante un riavvicinamento di Radici che ricopre anche il ruolo di presidente e al Prato e alla città resterà legatissimo. Il Prato torna così tutto in mano alla famiglia Toccafondi.
Paolo nel 2017 finisce al centro di un’inchiesta per ingresso illegale di baby calciatori provenienti dall’Africa. L’anno dopo è la volta dell’inchiesta sullo stadio Lungobisenzio, con i lavori di riqualificazione che sarebbero partiti senza le necessarie autorizzazioni. L’annus horribilis 2018 continua sul campo, con la retrocessione in serie D. Toccafondi sembra intenzionato davvero a lasciare, il sindaco in persona si spende per favorire la cessione della società. Spunta la fantomatica figura dell’italo-canadese Joseph Romano. L’amministrazione vincola la concessione dello stadio alla cessione. Ancora una volta salta tutto. Nessuna cessione. Tra il patron e il sindaco Biffoni si crea una frattura insanabile e da quel giorno non si sentiranno più. Il Comune si tiene lo stadio – inutilizzato ancora oggi – e Toccafondi si tiene il Prato. Dopo la retrocessione in serie D per la società nata nel 1908 arriva anche l’onta dell’esilio a Montemurlo. L’anonimato continua fino al fulmine di ieri.
Se per i tifosi sarà davvero una giornata da segnare in rosso sul calendario o l’ennesimo capitolo del “mai una gioia” lo scopriremo presto.