Sfruttamento lavorativo, un operaio cinese denuncia: arrestati 2 aguzzini
Scattano anche altre due misure cautelari: le ditte in zona ex-Ippodromo pagavano a nero e a cottimo gli operai
E’ stata la denuncia di un operaio cinese sfruttato a dare il via all’inchiesta della Procura di Prato che ha portato all’esecuzione di 4 misure cautelari per altrettanti imprenditori cinesi indagati per sfruttamento lavorativo. I due gestori occulti delle ditte individuali sono finiti agli arresti domiciliari; divieto di dimora nel comune di Prato per gli altri due loro familiari coinvolti nella conduzione delle confezioni. La fabbrica era collocata in due capannoni comunicanti in via Gestri, zona ex-Ippodromo: qui l’operaio cinese – clandestino – dal marzo 2022 ha lavorato per 13 ore al giorno, 7 giorni su 7, in luoghi privi di cautele antinfortunistiche, senza tutele o garanzie sindacali, percependo salario di circa 1300 euro al mese e vivendo in un alloggio di fortuna ricavato nel sottotetto di un’abitazione-dormitorio.
La ditta aveva poi uno showroom in via del Molinuzzo, dove gli stessi soggetti indagati, presentavano i capi di pronto moda ai clienti di tutta Europa. Le indagini della guardia di finanza e del dipartimento di prevenzione della Asl Toscana Centro hanno appurato come situazioni simili di sfruttamento riguardassero altri 24 cittadini extracomunitari, per lo più cinesi (di cui 4 irregolari in Italia): anche loro non avevano diritto a ferie, malattie, contributi e lavoravano a cottimo, per 13 centesimi a capo confezionato, come riportato nei diari manoscritti da ciascun operaio. Le paghe erano corrisposte in contanti, preponderante il lavoro nero; parte dei lavoratori era alloggiata in dormitori funzionali alla fabbrica, caratterizzati da condizioni igienico-sanitarie carenti e da sovraffollamento.
Nelle immagini sotto, l’intervento della Guardia di Finanza nelle aziende e nei dormitori
“Nel contesto investigato – riporta una nota del procuratore Luca Tescaroli – è emersa chiaramente la volontà dei gestori di fatto delle ditte in questione di massimizzare il profitto a qualunque costo (sociale, umano, sanitario, previdenziale), obiettivo perseguito attraverso l’abbattimento del costo del lavoro, creando una evidente distorsione economico-concorrrenziale con le altre aziende del medesimo settore che rispettano le regole e sopportano costi maggiori”.
Anche in questo caso le indagini hanno appurato il ricorso dell’intestazione fittizia delle ditte a prestanome e il fenomeno delle apri e chiudi, con continuità aziendale interrotta solo formalmente per eludere i controlli e non onorare i debiti con il Fisco. Oltre alle misure cautelari è stata data esecuzione ad un provvedimento di sequestro preventivo emesso dal gip di Prato, sempre su richiesta della Procura, finalizzato alla confisca del profitto di reato, costituito dai debiti previdenziali dovuti, per un importo complessivo pari ad oltre 184.000 euro.
L’operaio cinese che ha denunciato i propri aguzzini è stato inserito nel percorso di tutela previsto dal protocollo d’intesa contro lo sfruttamento ed ha ottenuto, su richiesta della Procura, il permesso di soggiorno ai sensi del Testo unico sull’immigrazione, “in assenza – sottolinea il procuratore Tescaroli – della possibilità di applicare la normativa sui collaboratori di giustizia, prevista solo per i cittadini italiani”.
Il permesso di soggiorno attribuito sulla base dell’articolo 18 del Testo unico Immigrazione è il permesso “casi speciali” per le vittime di tratta o sfruttamento lavorativo, della durata di 6 mesi, rinnovabile per un anno o per il maggior periodo occorrente alla definizione del procedimento penale. Un permesso che è affiancato ad un piano di protezione, affidato alla questura, per evitare che chi denuncia condizioni di sfruttamento sia fatto bersaglio di ritorsioni o intimidazioni, come accaduto più volte a Prato nei confronti di operai e attivisti del Sudd Cobas.
Assai più ampli sarebbero le tutele e gli incentivi, anche economici, previsti in caso di riconoscimento dello status di collaboratore di giustizia, un fattore che dai primi anni Novanta, grazie alle dichiarazioni dei “pentiti” ha consentito all’Antimafia di compiere passi fondamentali nel contrasto alla criminalità organizzata. Uno strumento che però non è utilizzabile, a Prato, per indagare sulle infiltrazioni della mafia cinese, visto che personaggi di “spessore” della criminalità orientale, in quanto stranieri, non possono accedere ai benefici previsti per i collaboratori di giustizia, fra cui incentivi economici fino a 2.000 euro al mese per il nucleo familiare, programma di protezione, alloggio in luogo segreto, cambio di generalità e accompagnamento in udienza da parte delle forze dell’ordine.