11 Aprile 2024

Dall’orditoio alla centrale elettrica: la livella delle morti sul lavoro

Prato al centro, non solo geograficamente fra le stragi di Suviana e Firenze. Microaziende e grandi gruppi uniti dalle tragedie sul lavoro


Da una parte Firenze, con la tragedia nel cantiere di via Mariti. Dall’altra Suviana, con la strage nella centrale elettrica immersa nel lago. In mezzo, Prato. Non solo geograficamente, ma anche come frontiera degli incidenti sul lavoro, con la dolorosa corona di spine dei morti in fabbrica, dei mutilati, degli invalidi. Fra poche settimane Prato rievocherà i tre anni dall’incidente che sta segnando la storia e le coscienze del distretto tessile: la morte di Luana D’Orazio, giovanissima operaia, madre di un bimbo, rimasta schiacciata in un orditoio, il macchinario che tira i fili per produrre la parte in lunghezza dei tessuti. Era giovane, Luana. E bella, col quel volto dolce e calligrafico che gli stereotipi assegnano a una commessa di negozio, una cassiera, una modella. Non a un’operaia che si accolla un lavoro da uomo, anzi da omaccio. Forse per questo, Luana diventò subito il simbolo del lavoro che fa morire. Il volto in prima pagina, in tv, perfino nel graffito sulla facciata di un palazzo. Luana è la martire (nel duplice senso greco di vittima e testimone) del lavoro dove si è precari non solo in senso giuridico, perché assunti a scadenza, ma in senso fisico, avendo la vita appesa a un filo. A un filo in tutti i sensi, nel caso di un’orditrice.

Luana D’Orazio

Piccole aziende, sicurezza eventuale: nella filiera di Prato il prodotto finale viene spesso raggiunto tramite passaggi da capannoncino a fabbrichetta, da ditta individuale ad azienda familiare. Altrove li chiamano subappalti, con termine che occhieggia un margine di  clandestinità. A Prato, dove si muove tutto alla luce del sole, si definiscono orgogliosamente terzisti, lavoratori in conto terzi. Ognuno ha la sua sede, dove il semilavorato arriva e riparte con aggiunta di valore. In questi passaggi di mano in mano è più difficile controllare, rispetto alla produzione centralizzata. E succede che un dispositivo di sicurezza venga disattivato, per fare prima, per produrre di più.

Il murale di Jorit dedicato a Luana D’Orazio

Luana dunque, vittima del lavoro “piccolo”, regolare ma un po’ sommerso al tempo stesso: un fianco scoperto che Prato non ha tenuto nascosto, non ha occultato. Definitiva, al proposito, la scena del film Madonna, che silenzio c’è stasera del 1982, in cui uno stralunato Francesco Nuti entra in una tessitura dove, fra il clangore dei telai,  l’operaio non riesce a percepirne le parole e a gesti indica di rivolgersi al collega: la mano che solleva non ha quasi più dita. Sintesi perfetta di un lavoro che ha imposto il tributo di falangi, dita, mani, timpani di orecchi lacerati dal rumore.

Vigili del fuoco all’opera a Suviana

Firenze e Suviana sono a due passi da Prato. Suviana è in linea d’aria a meno di 10 km da Montepiano, sul fronte emiliano della montagna e come canta De Gregori “se appoggi l’orecchio sul muro, puoi distinguerne le parole“. A Firenze e a Suviana tanti (non diciamo troppi: una sola vittima è già “troppo”) sono morti in un grande cantiere urbano e in un impianto costruito per alimentare la ferrovia direttissima di elettricità ed oggi esibito con legittimo orgoglio come produttore di energia pulita. Fratello Sole, nel senso di luce artificiale, ricavato grazie a Sorella Acqua. Il cantiere e la centrale elettrica sono legati a diverso titolo a due aziende-vanto italiano: Esselunga, committente dei lavori per costruire il supermercato, ed Enel. Se anche sotto il magistero di gruppi e aziende tanto forti e autorevoli accadono tragedie, significa che è caduta ogni teorica barriera. Che la sicurezza non è mai abbastanza. Che il rischio è una livella trasversale che omologa la ditta individuale e il colosso multinazionale. Facile incolpare i subappalti: a Prato, dove è il semilavorato a raggiungere le sedi di chi deve trattarlo; a Firenze e a Suviana, dove sono i lavoratori delle ditte a recarsi nella sede del committente. Il subappalto è spesso (ma non sempre) una necessità imposta dalle crescenti specializzazioni delle procedure. Occorre che  tutti – dal committente principale all’ultimo degli esecutori – siano investiti di responsabilità precise e consapevoli di averle e dotati di strumenti idonei, a partire dalla formazione.
Perché se si muore ugualmente nella piccola ditta individuale come nella sede di un grandissimo gruppo i pericoli sul lavoro sono un epidemico e tragico  mal comune. Senza gaudio per nessuno.

 

 

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disegno di Marco Milanesi