Addio a Niccolai, re delle autoreti. Giocò nel Prato
Chiuse la carriera da calciatore coi biancazzurri, collezionando appena quattro presenze
Manlio Scopigno, allenatore del Cagliari di Gigi Riva si meravigliò di vederlo, in Mondovisione giocare ai Mondiali di Mexico 70. Noi, più modestamente ci saremmo accontentati di vederlo più spesso al Lungobisenzio, nel triste autunno del 1977, nel Prato che, dopo una promozione da sogno dalla serie D arrancava nel campionato superiore. Lui, Comunardo Niccolai, morto questa mattina all’ospedale di Pistoia all’età di 77 anni, era arrivato a novembre, assieme ad altri trentenni dal passato abbastanza glorioso e il presente pieno di acciacchi. Formava la coppia centrale di difesa con Franco Battisodo, ex Bologna. Qualche anno prima noi adolescenti, giocavamo con le loro figurine.
La figurina Panini di Niccolai 1970-71
Niccolai collezionò 4 apparizioni, nel Prato allenato da Graziano Landoni, poi uscì per sempre dal campo per diventare allenatore (molte giovanili azzurre) e imprenditore a cavallo fra sport e ristorazione. Il suo “Legno Rosso” a Capostrada di Pistoia, dove iniziano le rampe della Porrettana, era l’approdo per giocare a calcio e calcetto con pizza a seguire per ogni compagnia di appassionati. Alle pareti, qualche foto di Comunardo nel Cagliari dello scudetto 1970, con Riva, Albertosi, Cera. E in Nazionale, Italia-Svezia 1-0: mezz’ora, infortunio, lui esce e Rosato che entra per sempre. Comunardo, silenzioso e introverso, mandava avanti il Legno Rosso con discrezione, mai reclamando la prima fila. Unica concessione, rispondeva ai giornalisti che lo chiamavano quando qualcuno (Riccardo Ferri, come ricorda Ligabue in una canzone, poi lo stesso Franco Baresi), battè il record per il quale Comunardo era entrato nella leggenda del calcio: quello delle autoreti. Ne segnò sei, quasi tutte ad Albertosi e alcune spettacolari e sommamente inopportune come in Juventus-Cagliari 2-2 l’anno dello scudetto. E una ne tentò a Catanzaro l’anno dopo quando, per la stizza di un rigore contro in realtà non fischiato, tirò forte nella porta del Cagliari e Brugnera parò con le mani, ispirando a sua volta un rigore buono – quello sì – che costò il pareggio. L’uscita di scena in queste giornate piene di autogol ai campionati Europei (da Calafiori a Vertonghen) ha il sapore del sottrarsi all’ennesima rievocazione delle sue imprese. O forse è la consacrazione definitiva dell’uomo che appose il proprio marchio alla specialità e incontra tanti campioni che – loro malgrado – gli rendono omaggio trovando il coraggio per imitarlo.