Roberto Caverni: “Per rifare piazza delle Carceri utilizzai i soldi destinati a una parrocchia”
A dieci anni dal via alla pedonalizzazione l'ex assessore svela i retroscena. "Il progetto era fermo da anni. Un lavoro di squadra che ho gestito da imprenditore"
Dieci anni fa, marzo 2014 veniva inaugurata la nuova pavimentazione di piazza delle Carceri, considerata una delle opere pubbliche più apprezzate della città. Svuotata dal transito, in particolare degli autobus, privata del parcheggio per una trentina di auto, col selciato ricoperto in pietra, la piazza si consegna spoglia allo scenario incantevole dei due monumenti che la compongono: il Castello dell’Imperatore e la basilica di Santa Maria delle Carceri, l’uno e l’altra originali esempi di architettura di genere delle rispettive epoche: difensiva e medievale il Castello; religiosa e rinascimentale la basilica.
Nel sondaggio che al termine dell’inchiesta sulle piazze cittadine ha realizzato nei mesi scorsi Tv Prato, le Carceri è risultata la preferita dai cittadini. E nei programmi che timidamente stanno affiorando in questa scommessa campagna elettorale la piazza è presa a modello di pedonalizzazione da estendere ad altri luoghi del centro storico.
Piazza delle Carceri dopo la pedonalizzazione
Come nacque il rifacimento di piazza delle Carceri? Ne parliamo con Roberto Caverni, imprenditore tessile, assessore con delega ai lavori pubblici della giunta guidata da Roberto Cenni, che realizzò l’opera.
Come nacque l’idea di svuotare la piazza?
“Non fu mia. Me la suggerì Grazia Maria Facchinetti, funzionaria della Sovrintendenza, nel primo incontro che avemmo, come prassi vuole, a inizio del mio incarico. ‘Avete una delle piazze più belle d’Italia, con monumenti citati in ogni libro di storia dell’arte, ma è tenuta in modo vergognoso. Cos’aspettate a liberarla dal superfluo e farla apparire ciò che è?’. Quella frase mi aprì gli occhi,”.
E poi?
“Otto settembre, Cenni decide di effettuare i fuochi d’artificio dal Castello anziché dal chiostro del Duomo. Per sicurezza, piazza delle Carceri fu completamente sgombrata. In piena notte, con la gente appena sfollata, scattai alcune foto della piazza quasi vuota. Un incanto. Il giorno dopo andai dal sindaco”.
Cosa le disse?
“Bellissima idea, ma devi trovare tu i soldi. Il Comune non ne ha, per questa destinazione”.
E lei?
“Per due fine settimana potrai a casa il bilancio comunale e lo studiai a fondo. Fra le pieghe trovai 750mila euro destinate dalla seconda giunta Mattei alla parrocchia di Galciana, come anticipo sul futuro affitto del teatrino, che sarebbe stato recuperato e restituito ad attività pubbliche. La diocesi non aveva trovato le somme necessarie per completare l’opera di restauro e lo stanziamento era fermo nelle casse comunali”.
Quindi?
“Mi informai col ragioniere capo, mi autorizzò ad utilizzare quelle somme. Qualche giorno dopo mi chiamò il vescovo Simoni: ‘O Roberto, che m’hai levato i soldi?’. Mi convocò per un incontro, al quale mi presentai con Massimo Nutini, dirigente comunale che considero una delle persone più brave con cui abbia mai lavorato, nel pubblico e nel privato. Mi trovai davanti monsignor Simoni con trentadue sacerdoti preoccupati. Il più risentito, don Luca Rosati, parroco di Galciana”.
Risultato?
“Tutti i parroci si espressero, con parole decise sul prelievo dei soldi. Simoni concluse: ‘Lasciali a noi’. Ero in imbarazzo. Risolsi con un lampo: ‘Appena troverete i soldi necessari per completare l’opera, vi restituirò la somma che prelevo ora”.
Missione compiuta?
“Tutt’altro. Il progetto per liberare la piazza era già da tempo negli archivi del Comune, lo aveva stilato l’architetto Malvizzo, ma dopo il nulla osta della Sovrintendenza nessuno ci aveva messo mano. I costi previsti erano di un milione e duecentocinquantamila euro”.
Mancava mezzo milione.
“E se non lo avessi trovato sarebbe stato inutile aver stornato la somma prevista per la diocesi. Fortuna che in quei giorni Esselunga stava completando il progetto a Pratilia. Per esigenze tecniche serviva un appezzamento confinante con l’area già acquisita. Fortunatamente, era un terreno del Comune”.
E allora?
“Avevo letto la prima edizione di Falce e carrello, il libro in cui Bernardo Caprotti raccontò che Coop fece fallire il progetto di Esselunga di aprire a Livorno acquisendo un terreno. Così, suggerii a Nutini di chiedere 500 mila euro, immaginando di trattare. Forse memori dello scotto livornese, non batterono ciglio”.
Soldi pronti, via libera.
“Tutt’altro. L’impresa di Caserta che aveva vinto la gara dichiarò di non avere soldi per finanziare i lavori. Il titolare della cava, fra Signa e Montelupo, indicata dalla Sovrintendenza per la pavimentazione, annunciò che non avrebbe fatto credito, fornendo solo il materiale pagato immediatamente. Fortuna che lavoravo nel tessile da tutta la vita”.
Che c’entra il tessile?
“Quando ti preme un terzista e vuoi aiutarlo anticipi il pagamento. Di fatto, finisci per finanziarlo. Il Comune era tenuto a saldare in 60 giorni. Pattuii con l’impresa tre rate a 30, 60 e 90, rispettando la media imposta al Comune e fornendo all’impresa i fondi per acquistare il materiale per la pavimentazione”.
Le ridono gli occhi, mentre racconta. Sembra quasi più compiaciuto per la procedura seguita, che per il risultato finale della splendida piazza.
“Risolvere un problema rappresenta sempre una soddisfazione. Lo è ancora di più se, lavorando nel pubblico, riesci a farlo attingendo alla tua cultura d’imptenditore. Alla quale feci ricorso per un altro aspetto”.
Roberto Caverni in tv all’Aria che tira nell’aprile 2014
Quale?
“Disponevamo di un milione e 250 mila euro. Mettemmo a bando la piazza, meno il sagrato a sud, che dà sull’ex Croce d’oro. Con il ribasso ottenuto sul lavoro maggiore, assegnato per un milione, completammo l’opera rientrando nel budget. Comunque i problemi non erano certo esauriti, trovando i soldi e spendendoli con raziocinio”.
Fioccarono critiche, accuse, distinguo. Cominciamo dagli ostacoli inanimati: l’esame archeologico della piazza.
“Con un drone georadar vennero esaminati a campione quattro punti. Di fronte all’attuale caffè Poirot. ex Bacchino, fu riscontrato il basamento delle gru usate per costruire la basilica. Di fronte alla Fortezza sedimenti del primo Castello, sulla cui pianta venne costruito l’attuale. Quindi le basi di abitazioni abbattute per ampliare la piazza e creare la basilica. Nessuno di questi reperti, tutti documentati, fu considerato ostativo per i lavori,”.
E il quarto rilevamento?
“Nell’area al confine con viale Piave, dove ora sono i paletti per la chiusura al traffico, emersero i resti di una strada che probabilmente costeggiava la seconda cerchia di mura cittadine. Gli archeologi misero in risalto la ricchezza dei materiali impiegati, riscontrati anche in scavi effettuati a Firenze e Parigi, segno di ricchezza della Prato dell’epoca. Ma neppure quelli valsero a fermare i lavori”.
Ciò che non riuscì alle pietre antiche fu tentato dagli umani contemporanei.
“Le associazioni dei commercianti cercarono di fermarci, lamentando l’addio al parcheggio, che esteticamente, dal mio punto di vista e non solo, rappresentava il più grave insulto alla vecchia piazza. Compensammo con la sosta a pettine su viale Piave. Alcuni residenti obiettarono a loro volta, ma altri erano favorevoli”.
La messa officiata dal vescovo Nerbini durante il covid in piazza delle Carceri. E’ il 20 luglio 2020
Poi, i bus.
“La Lam aveva in piazza delle Carceri il fulcro del traffico, e si riteneva che, spostandolo, il servizio non avrebbe più funzionato. Obiettai che il sistema Lam non era efficiente a prescindere. Curioso, trovarmi la Cap come controparte, io che avevo anche la delega al trasporto pubblico”.
Il parroco, come reagì?
“Una domenica sera mi chiamano due amici che avevano assistito alla messa. Mi dissero che don Carlo nell’omelia aveva accusato l’amministrazione di imprigionare la chiesa, impedendo matrimoni e funerali. L’indomani mattina lo chiamai, ricordandogli che la parrocchia avrebbe avuto il telecomando per l’accesso delle vetture autorizzate per le cerimonie. Che anzi i matrimoni si sarebbero giovati di un ambiente bellissimo e libero. Ogni mattina, per tutta la durata del cantiere passavo in bicicletta a vedere come procedevano i lavori”.
Quanto durarono?
“Otto mesi, fortunatamente senza intoppi”.
Estate 2012: piazza delle Carceri aperta al traffico e con il parcheggio
C’è un punto debole: il sagrato che si affaccia sulla canonica, dalla parte di via Cairoli non ha più gradino. È al livello della pavimentazione della piazza.
“Non è un difetto dei lavori, ma frutto dei bus che sormontando il gradino in marmo, per anni e anni, ne hanno abbassato il livello”.
Si rimproverano anche i lampioni privi di stile, l’assenza di alberi e di panchine.
“Decisioni tecniche della Sovrintendenza per ricondurre l’ambiente alla piazza medievale assunta a parametro del rifacimento. I lampioni a stelo lungo, privi di estetica confermano l’intenzione di mettere in risalto i monumenti, non gli accessori. Piuttosto, rimarcherei il livello tecnologico dei punti luce, con illuminazione modulare e altoparlanti per diffusione di musica d’atmosfera, a basso volume”.
In città si attribuisce a lei il merito dell’opera. Oggi ci ha rivelato che l’idea era stata di altri, che il progetto era nei cassetti da anni.
“Ogni tanto qualche amico mi telefona o mi spedisce selfie scrivendo: ‘Sono qui, in piazza Caverni’. Lusingato, ma l’opera non sarebbe mai giunta a fine, senza l’architetto Centauro, l’architetto Malvizzo e la funzionaria Facchinetti della Sovrintendenza con cui facemmo fronte comune”.
Lei ha messo l’esperienza di imprenditore.
“Diciamo che ho raccolto un obiettivo, riunito le risorse, risolto i problemi, facendo leva sulla cultura molto pratese della piccola impresa, dove servono invettiva, coraggio, fiducia ignoti ai protocolli della burocrazia”.
Tanti le rendono merito anche a dieci anni di distanza. Ma pochi mesi dopo l’inaugurazione della piazza, da candidato sindaco per l’Udc, lei raccolse poco più di cento voti.
“Consideravo chiusa la mia esperienza in politica. Roberto Cenni e Giovanni Bambagioni, segretario provinciale del partito, mi spinsero a candidarmi e Pierferdinando Casini mi concesse di scrivere sul simbolo, lo scudocrociato, il mio cognome al posto del suo (foto a lato). Finì che il capolista Boretti, grazie al voto disgiunto, fu più votato di me. Comunque, mi resta una certezza”.
Quale?
“Che operare per il bene comune da cittadino, nel mio caso da imprenditore, consente di affrontare situazioni e rischi che un amministratore di estrazione politica non si accollerebbe mai. Se l’80 dei cittadini è favorevole alla tua proposta, sai che difficilmente ti ringrazierà, ma che il 20% di contrari ti sarà a lungo ostile. Ed è pensando a questi ultimi che spesso si evita di fare, si resta immobili. Quanti politici avrebbero accettato di crearsi gli avversari che mi sono trovato di fronte io, per piazza delle Carceri? Questa, per me, è la soddisfazione più bella”.