Le gaffe degli amministratori e i cittadini che spalano. L’altro solco scavato dall’alluvione
Governatori che incolpano il clima o hanno imposto strutture inefficaci e volontari dal cuore grande che intervengono a disastro avvenuto
Sarà banale e qualunquista, ma non si può non notare come l’alluvione di questi giorni abbia spalancato oltre a molte, troppe parti materiali di case, fabbriche, strade anche il profondo, metaforico solco fra chi comanda e non prevede e non fa o lo fa male e chi è semplice cittadino e invece si rimbocca le maniche. A disastro avvenuto, quando è troppo tardi, ma fa.
È la prima tragedia del genere che tocchi le nostre terre in epoca social e i video che corrono di telefonino in telefonino (quelli non annichiliti dall’umidità o non ricaricati per black out) tramandano scene imbarazzanti di Grandi Amministratori non sorpresi da testimoni in involontari scivoloni o gaffe ma in preparatissimi video selfie di cui andare orgogliosi. Giani, che di fronte alla Bardena uscita dal proprio letto per imboccare il cancello di una villetta dice che trattasi di uno spettacolo al quale dovremmo abituarci in quanto figlio del clima che cambia, si procura risposte salaci e irriferibili di nerd e comitati altrettanto abili rispetto al suo staff nel preparare un video di replica. Accusandolo di esser lui a non pulire il letto del corso d’acqua dai detriti. Giani si procura poi il tacito e forse irreversibile invito ad andarsene altrove da parte di chi, senza far video, è rimasto sommerso e ha pagato tre o quattro fra bollette e bollettini perché la Regione provvedesse a ripulire fiumi, torrenti, canali, ruscelli e ruscelletti. Senza incolpare il clima, ché a novembre piove. Deve piovere, piove. E qui si tace degli allarmi variopinti scattati vanamente e più volte alla vigilia di soleggiate giornate e stavolta no. Coi primi, gli allarmi vani, che come nella favola antica, hanno giocoforza tolto credibilità all’allarme vero e serio, peraltro annunciato in colore tenue quando avrebbe duvuto esser “rosso anzi rossissimo“, come accusa Biffoni, compagno di partito di Giani anche se non sembrerebbe.
E il predecessore di Giani, quel Rossi di cui non si intravedono pubbliche apparizioni presenti, ma le tracce del suo operare sì? L’ospedale di Prato che ha costruito senza ascoltare nulla e nessuno, nemmeno della sua parte politica, avrebbe dovuto, baldo e giovane com’è di appena dieci anni di vita, rappresentare il baluardo, il porto sicuro di fronte alla prima calamità occorsa da quando è stato imposto a questa avventurata comunità. Alle 18.30, dopo tre ore di pioggia – violenta, “bomba”, ma pur sempre pioggia – sui telefonini impazzavano le immagini dei sotterranei allagati, dell’acqua a cascata giù dalle scale. In una zona, Galciana, dove danni ci sono stati, in cantine e seminterrati privati, ma non il disastro di altrove. Risultato: l’ospedale allora decantato con tanta enfasi come l’evoluzione sicura e tecnologica e futuribile ed ecologica rispetto al decrepito Misericordia e Dolce (mai allagato, a memoria di operatore) si è squagliato alle prime piogge. Ascensori fuori uso, protezione civile a trasportare a braccia i pazienti da un piano all’altro. Tecnici e volontari sottratti al lavoro nelle case, nelle strade, nelle fabbriche devastate per guarire il luogo deputato alle cure di tutti ed invece lui sì, malato. L’ospedale non risolutore, ma creatore di problemi durante una calamità.
In guerra si raccomanda di non sparare sulla Croce Rossa perché si possano curare i feriti a qualunque fronte appartengano. Qui la Croce Rossa (metaforico: non la benemerita associazione ma il sistema di pronto soccorso) ha ceduto subito le armi.
Al Santo Stefano, ora si avverte un persistente odore di muffa. Resterà per vari giorni. Che serva a non far dimenticare quanto accaduto. A far mettere in sicurezza l’ospedale perché non accada più che il presidio per eccellenza assieme a pompieri, protezione civile, forze dell’ordine in caso di estremo bisogno risulti subito guasto.
A fronte delle poco nobili imprese di Amministristori in carica e non più, ci sono i cittadini che hanno provveduto per sé e i meno fortunati vicini a spalare, asciugare, liberare locali da arredi diventati masserizie inservibili. Le cronache hanno raccontato e racconteranno ancora di persone con pale e stivali, forti solo delle proprie mani e di un cuore grande e di aziende che hanno messo a disposizione mezzi e maestranze. Senza selfies, senza gloriarsene. E precedendo sul tempo una burocrazia che in tempi ordinari per fare accettare all’ente pubblico un simile servizio in cortese omaggio avrebbe – chissà – imposto iter impervi ed intricati, esauriti quando il sole avrebbe da solo già asciugato tutto.
E tanti giovani, ragazzi a darsi da fare in luoghi comuni, nel senso di piazze e strade e scuole appartenenti a tutti, confutando i luoghi comuni, ossia la convinzione che siano bamboccioni nullafacenti, pronti a schivare ogni impiego. A proposito, per stamani, lunedì 6 il prof. Di Carlo, dirigente scolastico del Cicognini Rodari ha invitato studenti e insegnanti nei due plessi a presentarsi se lo ritengano, da volontari, a ripulire aule e corridoi per ripartire. I ragazzi del Classico, avvezzi a studiare le parole e inevitabilmente a giocarci hanno ribattezzato l’operazione “la classe non è acqua”. Gente allegra, anche quando il ciel non aiuta.
E a proposito di chi pur lavorando di testa usa le braccia, un’osservazione: il sito della Regione è perfetto nel rivelarci ogni dato statistico – storico o addirittura “in diretta” – della portata di fiumi e corsi d’acqua. Monitoratissimi, ma poi irrefrenabili. Non è che i dipartimenti dell’ambiente siano pieni di valenti studiosi e vuoti di braccia? Serve chi fa teoria ma anche chi lavori sul campo, con competenza e prima delle tragedie.
Non volontari improvvisati che spalino a disastro avvenuto.