Se non qui, dove? Domanda spontanea alla vigilia del
Festival Seta Dialoghi sulla Cina contemporanea che domani, giovedì 5, prenderà il via al Museo del Tessuto. Tre giornate di incontri, confronti, relazioni e momenti dedicati allo spettacolo e al cibo, riguardanti
noi e il Grande Paese orientale, da decenni crocevia di tutto ciò che accade al mondo. Quel Grande Paese che Prato –
prima in Europa per
proporzioni del fenomeno – accoglie nel proprio grembo con una comunità concentrata in due poli, uno residenziale, l’altro produttivo, ma in silente, inesorabile espansione sul territorio intero.
E allora, se non qui dove, un festival animato dai maggiori esperti di
geopolitica,
diplomazia, economia internazionale, con particolare attenzione verso la Cina?È la domanda che dovrebbero porsi tutti a Prato: le istituzioni e i cittadini, il mondo produttivo e la scuola.Questi ultimi non possono prescindere dall’occuparsi della Cina: per gli
imprenditori – a qualunque comparto appartengano- è assieme un potenziale immenso mercato però a bassissima penetrazione, oppure un imbattibile concorrente. Per la
scuola la Cina rappresenta il presente e l’immediato futuro: non si potrà prescindere dal praticarne la lingua e conoscerne i capisaldi della storia e dell’ordinamento attuale. Non per mera convenienza e tantomeno sudditanza, ma anzitutto per colmare una lacuna culturale comune a un Occidente, i cui confini non circoscrivono più il motore del mondo.
Quanto ai cittadini, si dividono in due categorie: coloro che dall’immigrazione cinese e dalla domanda immobiliare da questa espresso si sono lasciati convincere (più che esserne costretti) a sostituire con la rendita attività produttive declinanti e bisognose di radicali innovazioni. E la quota di popolazione che dall'”invasione” cinese lamenta da trent’anni disagi, problemi di convivenza, peggioramento nella qualità della vita. E sollecitata dai fatti di cronaca denuncia con sdegno specie sui social sia le forme di illegalità spesso riscontrate che l’invio in patria delle ricchezze prodotte qui.
Con il festival Seta Cina, le istituzioni si trovano confezionato – da un privato, Matteo Burioni, mosso da contagiosa passione e finalità culturali – un evento a carattere internazionale con un innegabile e prezioso connotato: eleva profondamente il livello delle relazioni fra la città e il mondo cinese in generale. Relazioni che da qui emergono in genere per aspetti legati alle operazioni delle forze dell’ordine i della magistratura. Ci sono certo aspetti edificanti, nei rapporti con la popolazione cinese. Ma sul piano dell’immagine trasmessa all’esterno non valgono ad attenuare- non dico a sostituire- l’immagine che risalta da blitz e condanne.
Per questo un’iniziativa come il festival solleva l’asticella su un fenomeno che non si può fingere di ignorare e permette alla città di mostrare un legame virtuoso con la Cina, legato alla geopolitica (materia di fascino e importanza eterni, oggi pure di moda), all’economia, alla cultura. Con il fine lontano che veda Prato di fatto riconosciuto ponte delle relazioni ufficiali fra i due Paesi. Quest’anno i ragazzi di due scuole saranno presenti ai lavori del festival ed è la notizia più bella. Se non qui, dove?