Prato e i suoi ospedali: otto secoli, quattro strutture per una città in continua crescita
Claudio Sarti ripercorre la storia della sanità pratese nella giornata che il Fai dedica alle visite al Misericordia e Dolce. Entro due anni una casa di comunità nel vecchio ospedale
Il Nuovo ospedale Santo Stefano ha compiuto da pohi giorni i primi dieci anni di vita- La storia degli ospedali di Prato, di cui si hanno tracce dal 1218, taglia il traguardo dei 805 anni. Otto secoli in cui la città ha conosciuto quattro strutture ospedaliere: il Dolce dei Mazzamuti, lo Spedale della Misericordia, il Misericordia e Dolce nato dalla loro fusione e oggi il Santo Stefano. Capire l’attualità attraverso il passato è l’obiettivo che ci guida nell’inconto con Claudio Sarti, funzionario dell’Asl pratese da anni impegnato nelle ricerche sulla storia sanitaria della città. Una guida preziosa, nella domenica 15 ottobre 2023 in cui il Fai nell’ambito delle Giornate d’autunno, effettuerà visite guidate per il pubblico alla storica sede del Misericordia e Dolce.
Con Sarti affrontiamo in due capitoli la storia ospedaliera della città. La parte antica in forma audiovisiva GUARDA IL VIDEO.
Qui trattiamo la più recente, che ha portato alla nascita e proietta sul futuro del Santo Stefano e delle strutture territoriali.
Claudio Sarti funzionario Asl Toscana Centro Area Pratese
Sarti, partiamo dal presente. Il Nuovo Santo Stefano ha interrotto il.”monopolio” del Misericordia e Dolce. Nuova sede, nuovo nome, decisa svolta col passato. A quando risale la decisione di realizzare un nuovo ospedale?
“Il dibattito è durato oltre un secolo. Con la crescita della città e l’aumento di popolazione a inizi Novecento ci si interrogò se investire sulla struttura medievale e rinascimentale del Misericordia e Dolce, oppure voltare pagina e creare un nuovo ospedale. Guerra e avvento del Fascismo rinviarono il dibattito, riacceso nel 1930 con la morte di Pergentino Calamai, da sei anni presidente dell’Ospedale Misericordia e Dolce”..
Perché si riaprì il.dibattito?
“Perché gli eredi, in sua memoria lasciarono alla città una decina di ettari di fronte alla basilica di Santa Maria del Soccorso, destinati ad accogliere la nuova struttura. Furono iniziati i lavori, interrottisi con la Seconda Guerra Mondiale”.
L’edificio fu in parte costruito.
“E’ il palazzo che segna in parte l’identità del quartiere e nel cui ambito sorge l’attuale sede di TV Prato. Nel 1946, a guerra finita Armando Meoni, presidente dell’ospedale, già celebre come scrittore che narrerà la storia moderna della città, si presenta al sindaco con il.quadro di un ospedale – il Misericordia e Dolce – operativo ma inadatto alla Prato che riparte e cresce con l’immigrazione. E il cantiere del nuovo,ospedale, fermo da anni”.
Uno inadeguato, l’altro incompiuto.
“Appunto. E la città avanzava ogni giorno di più richieste di sanità. Acuite di lì a poco dall’esplosione della poliomielite che investì l’Europa”.
Quindi?
“Nel 1952 fu abbandonato il progetto del Soccorso, per concentrarsi sul potenziamento del Misericordia e Dolce. Per far fronte all’emergenza polio fu annesso all’ospedale il grande locale del Pellegrinaio nuovo, ribattezzato Corea in riferimento alla guerra in corso in estremo Oriente. Meoni avverte che non può attendere i tempi della burocrazia e, in attesa del bando, assegnato nel 1956, realizza poi la palazzina di ortopedia e le camere paganti”.
La città cresceva.
“E nel 1970 vide il ministro della sanità Luigi Mariotti inaugurare l’ampliamento del Misericordia e Dolce sulla base di un progetto risalente agli anni ’50”.
La sanità offriva una risposta anacronistica.
“Una risposta datata e col fiato corto. Non in grado di affrontare il progresso tecnologico che si.manifesterà di lì a poco. Negli anni Novanta fu chiaro che un ospedale in parte costruito in pietra. nel Medioevo non era adeguato ad accogliere la fibra ottica, la digitalizzazione. E la Regione inserì Prato fra i quattro nuovi ospedali che sarebbero sorti nell’arco di 100 km fino alla zona apuana”.
Fin dalla fase progettuale però anche il Santo Stefano risultò inadeguato per numero di posti letto. Non si curava il “vizio congenito” di far sorgere strutture non rispondenti ai bisogni effettivi.
“Il Santo Stefano seguiva il.modello di sanità per acuti. Nessun paziente cronico avrebbe dovuto occuparlo, ed essere assegnato alla sanità territoriale, che non ha seguito gli stessi tempi. Il Santo Stefano ha 15 sale operatorie, collegamenti con fibra, è attrezzato per le nuove tecnologie. Camere da due letti, tutte con bagno. Piero Taiti, direttore dell’ospedale negli anni Novanta sottolineava che quando il paziente affetto da resezione allo stomaco era in grado di recarsi in bagno da solo avrebbe ben potuto essere dimesso: i servizi sanitari sorgevano spesso a venti metri dal luogo di ricovero, Condizione certamente più scomoda di quella che lpammalato avrebbe incontrato a casa propria. Insomma, è ingeneroso paragonare il Santo Stefano a ciò che si è lasciato alle spalle”.
Alcuni anni dopo l’inaugurazione fu ammesso che è piccolo. E di recente si è annunciata la costruzione della palazzina Biancalani, per ampliarlo.
“Il Santo Stefano è modulare, realizzato.in un’area verde di 14 ettari, anche in previsione di eventuali ampliamenti. È in grado di rispondere alle necessità della sanità presente e di quella futura”.
A proposito, il Misericordia e Dolce manterrà funzioni sanitarie?
“Le amplierà, con la realizzazione entro il 2026 di una Casa di comunità dell’area sud del complesso destinata dal 1979 ad anatomia patologica e che poi accolse le cappelle del commiato utilizzate dalla Croce d’oro. Quell’area, compresa la chiesa che nin è mai stata consacrata saranno a disposizione della strutture territoriali”.