8 Ottobre 2023

“Francesco Nuti ha rischiato di avere due funerali, come Totò” VIDEOINTERVISTA

A quattro mesi dalla morte dell'attore e regista lo sfogo del fratello Giovanni: "Ho le sue poesie, ma gli eredi al momento non vogliono pubblicarle". "Era un intellettuale, ma la critica lo declassa a toscanaccio arrogante"


 

 

 

 

Giovedi prossimo, 12 ottobre saranno trascorsi centoventi giorni dalla morte di Francesco Nuti. Quattro mesi in cui l’attore è stato pianto e rimpianto dai suoi cari e dagli appassionati di cinema. Ed è stato rievocato soprattutto in retrospettive spontaneamente organizzate nella sua Prato e in altre località ma non dalle tv nazionali.
Ne parliamo con Giovanni Nuti, 71 anni, medico, musicista, compositore, fratello maggiore di Francesco.

Quattro mesi dalla scomparsa, quanto manca Francesco al pubblico, a chi gli vuole bene?

“Rispondo con un dato: dopo la morte pubblicai un post in cui rievocai ‘Sono un bravo ragazzo’, l’autobiografia alla quale Francesco lavorava prima dell’incidente del 2006 e che fu pubblicata nel 2011. Invitai a scrivere a Rizzoli perché pubblicasse una nuova edizione. Alla casa editrice sono arrivate migliaia di messaggi da tutta Italia, molti più delle 5000 persone che mi seguono come followers. Il il libro è già stato ristampato”.

Sarà presentato in città?

“Certo. Nel chiostro di San Domenico, sono d’accordo con la Libreria Cattolica per l’organizzazione. La data sarà fine novembre o inizio dicembre”.

Francesco Nuti

E a te, Giovanni, quanto manca Francesco?

“Sarò sincero. Non mi manca, lo avverto ancora come un legame vivo. È come se parlassi con lui più volte al giorno. La lunga agonia ha facilitato il distacco, che è stato lento, preparato. Da me vissuto come fratello ma anche come medico. A dire il vero, il ricordo di Francesco, più che nostalgia mi ispira un sentimento quasi di rabbia”.

Perché?

“Perché anche dopo la morte la critica cinematografica e non solo continua a liquidarlo come un attore comico. Un ragazzotto arrogante, toscano maledetto. Francesco, già prima della morte era stato relegato in un angolo, assieme al suo cinema. Senza scavare nel suo io, nella sua figura di intellettuale”.

Intellettuale, addirittura.

“Nel 2005, un anno prima dell’incidente, a Roma Francesco mi consegnò trentatré quaderni contenenti il suo diario, aforismi, poesie. Gli chiesi perché li desse a me. ‘Non si sa mai’, disse con una sorta di premonizione. I diari si arrestano al 1996, poi un vuoto fino all’incidente e la ripresa del racconto dal 2011, quando Francesco ricominciò a scrivere, con un personal computerc vocale e a tastiera semplificata. Ma i diari non sono tutto”.

Prego.

“Dopo avr letto Ungaretti, in un aforisma Francesco scrive che se come afferma il poeta, una sola parola può contenere un mondo, allora lui col suo cinema, i suoi silenzi è uno dei più grandi ermetici d’Italia. In Francesco ci sono squarci di poesia pura. La poetica della panchina, di lui che in Caruso delinea la differenza politica fra mortadella e prosciutto, oppure che, seduto in silenzio incarna quella che lui definiva la poesia comica della solitudine. Amava Bukowski, Keaton, Beckett. Su YouTube circola un filmato in   bianco e nero in cui lui prova Aspettando Godot. Avrebbe voluto tornare al teatro, sua prima passione, per rappresentarlo. Insomma, Francesco era un intellettuale, anche se aveva un atteggiamento antiintellettualistico scambiato per arroganza”.

Francesco aveva tratti di arroganza, anche nella vita. Specie durante la crisi di metà anni Novanta.

“L’arroganza difensiva, del timido. All’indomani della morte la rivista RollingStone lo riabilita ponendolo sullo stesso piano di Verdone e Troisi, mentre per anni la critica lo aveva liquidato come reietto, attaccato alla bottiglia, depresso. Un arrogante toscano che pensa di essere un genio”.

Giovanni Nuti

Quindi?

“Vorrei far emergere il vero Francesco, pubblicando se non i diari, nei quali c’è molto privato, almeno poesie e aforismi. Peccato che gli eredi non ne abbiano intenzione”.

Dopo la morte nessuna tv nazionale ha mandato in onda un suo film.

“Il fatto che quel giorno fosse morto anche Berlusconi è un fragile alibi. In realtà Francesco paga, anche ora che non c’è più, il rifiuto della banalità, il suo dire ciò che altri rifiutano. L’esser napoletano rappresenta una difesa per Troisi. Verdone è un comico educato, attento al mutare del cinema e ad adeguarsi senza svariare o sbandare. Francesco, in Willy Signori litiga col gatto e lo getta dal tetto. Oppure sorprende la ex col nuovo compagno e gli spara. Con un’arma giocattolo, ma spara e oggi non si può sparare a una donna o per una donna neanche nella finzione di un film. Ecco, Francesco non ha fatto film buoni per ogni tempo. Era schietto, vero. Diceva pane al.pane, ma passava per arrogante”.

Ho conosciuto il giovane Nuti lavorando con lui a Radio Prato. Non era arrogante. Presuntuoso, forse. Arrogante no.

“Roma lo ha indurito”.

A proposito, quanto manca, se manca, Francesco a Prato?

“A Narnali gli hanno appena dedicato una sala nella casa del popolo. Il sindaco volle subito dopo la scomparsa  intitolargli la sede di Manifatture digitali. Ma Prato soffre e soffrirà sempre perché non ha avuto il suo.funerale”.

Svoltosi a Firenze, San Miniato a monte. Officiante pratese: dom Bernardo Gianni.

“Ginevra la figlia volle così. Alle Porte Sante riposano i grandi dell’arte e dello spettacolo. Collodi, Zeffirelli. Da Livorno alcuni ammiratori vanno spesso a portargli fiori. Ma Francesco ha rischiato di avere un secondo funerale,a Prato. Come Totò, che di funerali ne ebbe addirittura tre”.

Racconta.

“Quello di Firenze fu un funerale privato. Potevo partecipare io come fratello, ma paradossalmente non Biffoni come sindaco. Dissi a Biffoni di farsi passare come mio familiare, non ci fu bisogno, però non fu una bella cosa che che fra i due sindaci quasi si accendesse una disputa. Nardella a valorizzare nascita e sepoltura e il sindaco di Prato tutto il resto: l’educazione, la crescita, la poetica, il primo film”.

Francesco era pratese. Profondamente. 

“Sì, lo era. Arrivò bambino, si era sempre sentito solo e soltanto pratese. Io, avrei voluto riposasse per sempre accanto al babbo e alla mamma, alla Misericordia. A Prato qualcuno pensò di organizzare il funerale pubblico. L’idea fu solo abbozzata, ma se l’8 settembre hanno chiamato me, sul pulpito di Donatello durante l’Ostensione, è stato anche un gesto se non riparatorio, almeno compensativo”.

Ginevra, la figlia di Francesco abita a Roma. Tu rappresenti il legame tra Prato e Francesco Nuti, le sue radici nella sua terra.

“È il ruolo che ho sempre sostenuto, dopo l’incidente. E ho avuto cura che fosse un ruolo per così dire spirituale, limitato all’arte, ai sentimenti. Non alle cose concrete, al patrimonio. Per questo ho sempre rifiutato di essere amministratore di sostegno di Francesco, compito esercitato da Giustino Minocchi, fiscalista, fino alla maggiore età di Ginevra”.

Come vorresti che Prato ricordasse Francesco?

“Non potendo almeno al.momento pubblicare poesie e aforismi, vorrei che in città trovassero posto le opere di Francesco pittore. Dipingere è sempre stata la sua passione; Isabella Ferrari mentre girava un film a Ostenda con Francesco che per amore la seguì, accettando per una volta il ruolo di ‘principe consorte’, gli regalò acquarelli e cartoncini perché non si annoiasse nell’attesa. Dipinse opere con ispirazione e tecnica tutt’altro che banali. Uno dei temi preferiti era Pinocchio. Alla pittura non rinunciò neppure dopo il primo incidente. Usava la mano sinistra. Possiedo vari dipinti e disegni che nel 2011 furono esposti all’Opificio Malkovich. Una selezione credo potrebbe trovare collocazione al Museo del Tessuto, che ha sede nella fabbrica in cui fu ambientato Madonna, che silenzio c’è stasera. A proposito, c’è un altro ricordo, al quale tengo”.

Francesco Nuti

Quale?

“Io e Francesco avevamo un piccolo appartamento in via Carraia 50. Lì scrisse la sceneggiatura di quel film, ambientato a Prato, girato all’ex Campolmi. Ecco vorrei ricordare  Madonna, che silenzio c’è stasera concepito lì. Una piccola targa, un grande gesto d’amore”.

 

 

 

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disegno di Marco Milanesi