Scrive il lettore Fabrizio Menici commentando il Buongiorno Prato di ieri 22 settembre 202, ispirato all’inserimento nella Costituzione italiana del termine sport. “Sembra davvero educativo subire per quasi trent’anni la chiusura di via Firenze quando il Prato giocava in casa in serie C per effetto di un omicidio fra tifosi accaduto lontano da qui? Il clima poliziesco era giustificato per una o due gare all’anno. Non quando giocavano squadre di paesini lontani senza tifosi al seguito”.
Menici tocca una componente molto seria della vita: l’ipocrisia umana, che trova ottusi interpreti nei burocrati (nel caso chi scrisse la legge, più che chi l’applicava). Finché era nel calcio professionistico, le gare del Prato erano astrattamente pericolose e un quartiere intero era blindato per metà domenica. Anche quando giocava il Celano; paese di diecimila anime in Abruzzo e senza neanche un corpo a seguirne la squadra. O quando da Castel San Pietro, sobborgo di Bologna arrivarono solo quattro evidentissimi e pericolosi hooligans – due maschi e due femmine impellicciate – che mi chiesero.la congruità del conto “vini esclusi” dopo aver pranzato da Delfina. “Sa, noi in trasferta seguiamo la Michelin“. Il calcio e il suo groviglio di ipocrisia e violenza latente subì una lezione indimenticabile quando i Cavalieri rugby ospitarono al Lungobisenzio uno squadrone di Londra carico di storia, di trofei e di autentici valori sportivi. Via Firenze era chiusa per via di chioschi e banchi con vendita di fette di torta e di biancheria ricamata col punto Casale. Migliaia di inglesi sugli spalti. Le famiglie di via Paolo Giorgi, prigioniere, scesero, per una volta, a divertirsi. Era rugby, non calcio. Strada chiusa, anzi: aperta per festa, non blindata per ottusa paura.
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disegno di Marco Milanesi