15 Settembre 2023

Cento letti senza pareti, né privacy: e fu la Corea mitico reparto simbolo di una sanità difficile, la cui ombra si prolunga ai giorni nostri


Fra le reazioni, molte delle quali commoventi, al racconto della giornata trascorsa in barella al pronto soccorso dell’ospedale Santo Stefano ce n’è una, sollevata da un gruppo social e da vari giovani lettori, che merita una risposta circostanziata. Riguarda la Corea, il reparto di Ortopedia del Misericordia e Dolce che ho evocato ossevando la promiscuità di tanti pazienti riuniti in una grande stanza senza pareti, che nel caso del pronto soccorso sono ricavate con le tendine delle lettighe.

Alla Corea si accedeva a sinistra dalla portineria “vecchia”. Occupava il grande spazio del Pellegrinaio Novo, da vent’anni a questa parte trasformato in sala conferenze. Sorta nel Trecento come Degenza maschile, la futura Corea subirà cambiamenti nel Seicento e nell’Ottocento, quando vi operava un mulino alimentato dalla gora di Gello, che lascerà il.posto a grandi lavatoi. All’epoca tutti gli “spedali” assommavano aree mediche e chirurgiche ad orfanotrofi, ospizi, accoglienza per invalidi. La legge del 1938 che introdurrà le specializzazioni ospedaliere verrà applicata a Prato nel 1951. Non è un caso che si scegliesse Ortopedia, nella città della meccanizzazione intensiva del tessile. A guidarla, il mitico primario professor Pizziolo, il cui nome entrò prepotente nel modo d’interloquire della città. “Vai da Pizziolo” era la sottolineatura perfino affettuosa malgrado le apparenze, per posture o difetti di deambulazione temporanei. O urlata da qualche tribuna per bocciare definitivamente calciatori di piede non sopraffino.

Che si scegliesse uno spazio enorme come l’ex Pellegrinaio dà il segnale di quanto fossero impellenti le necessità di cure ortopediche laddove telai, filatoi, roccature imponevano ogni giorno tributi, riferiti dai giornali con titoli a una colonna come “Mano a contrasto” o “Arto schiacciato” da un macchinario. E dove la terribile “lupa” mieteva amputazioni di mani e dita.

Nel reparto, costantemente un centinaio di pazienti, in gran parte immobilizzati ai letti da ingessature, per degenze assai più lunghe delle attuali. Privacy zero, rumori incessanti, di giorno col brusio delle voci degenerate in urla per chiamarsi da un capo all’altro dello stanzone e rumori di notte. Al passo di mezzogiorno ricordo in una domenica anni Settanta  forse trecento persone fra degenti e parenti. E ai rumori si aggiungevano gli odori di pasti portati da casa, consumati mentre il vicino cambiava la biancheria per rispedirla subito a lavare. Quando a metà anni Cinquanta si dovette far fronte all’epidemia di poliomielite, si costruirono tramezzi interni altri due metri, cui venivano appoggiate le testate dei letti: camere (senza soffitto) in cui dormire era un’impresa; vivere, una trincea.

Per nome fu scelto quello della guerra che si combatteva nel nostro dopoguerra ed era lontana e fra gente sconosciuta. In Corea. Rassicurante modo per esorcizzare la guerra nostra, di cui si era ancora pieni di ferite. Alla Corea l’Italia di quegli anni intitolò aree degradate o di caos urbanistico, illegalità lavorative o edilizie. Insomma, ciò che era oltre le regole. Eloquente, che Prato le dedicasse il primo reparto ortopedico. Che restò operativo con quelle dimensioni e quello stile fino agli anni Ottanta, quando Antonio Cirri, presidente dell’Usl 9 le pose fine. Ortopedia fu trasferita e svanì presto  l’ambizione di sublimare l’esperienza medica e chirurgica rodata in tanti anni nella rude Corea creando una moderna unità di Ortopedia della mano affidata ai fratelli Falcone. Ogni alzata di testa verso leccellenza non ha fortuna da queste parti,  E intanto  Falcone aveva attratto tanti pazienti dal Sud.

Quanta storia dietro l’incidentale citazione della Corea, soppressa da trentacinque anni eppure reviviscente nell’architettura della grande stanza al.pronto soccorso, e sempre viva nell’eterna funzione di curare gli infortuni sul lavoro. L’ombra della Corea si allunga così fino al sorriso di Luana, dolce e malinconico. Il sorriso della ragazza trascinata a morire schiacciata in un orditoio, anno di grazia 2021, in pieno progresso tecnologico nella sicurezza.
Ringrazio Claudio Sarti, scrigno di cultura e memorie sulla storia della salute in questa città.

 

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disegno di Marco Milanesu