La Cgil di Prato ha raggiunto un accordo stragiudiziale con un brand della moda che ha versato circa 30.000 euro ciascuno a tre lavoratori ivoriani e maliani della pelletteria Serena di Poggio a Caiano, vittime di sfruttamento del lavoro e parti civili nel processo che pochi giorni fa ha portato alla condanna a 1 anno e 10 mesi, con rito abbreviato, della titolare di fatto della pelletteria cinese (rinviato a giudizio il marito). Secondo l’inchiesta, alla Pelleteria Serena gli operai lavoravano fino a 12 ore al giorno, con punte di 15 ore, per 6 giorni settimanali, a fronte di stipendi mensili di circa 800 euro corrisposti in modo irregolare.
Il brand della moda, uno dei principali appaltanti della ditta orientale, non ha alcuna responsabilità penale, ma è stato tirato in ballo sul piano civilistico dal sindacato in base alla legge sulla responsabilità solidale del committente, affinchè si sostituisse alla pelletteria nel saldare le differenze di salario fra le basse retribuzioni corrisposte dal terzista e quanto sarebbe stato dovuto.
Una legge, questa, che da 20 anni disciplina i contratti di appalto, cui si possono appellare i lavoratori che non riescono ad ottenere dal proprio datore di lavoro stipendi e contributi. Si tratta della prima volta a Prato che la responsabilità solidale del committente (tramite accordo stragiudiziale) è riconosciuta grazie alle risultanze di un parallelo procedimento penale per sfruttamento lavorativo a carico dei datori di lavoro.
“L’attività investigativa ha consentito di individuare i veri titolari dell’azienda appaltante (intestata a prestanome) ed anche i committenti, cose che non sempre in un procedimento civile si riescono a dimostrare, considerato che un lavoratore straniero talora non è in grado di conoscere queste informazioni e che non si può fare affidamento sui poteri ispettivi di polizia giudiziaria” afferma l’avvocato Alessandro Gattai, che ha seguito la vicenda per conto della Cgil.
Altro ostacolo all’intervento della responsabilità civile dell’impresa committente (che risponde proporzionalmente al suo apporto in termini di fatturato della ditta appaltatrice) sono i limiti temporali: dopo 2 anni dall’interruzione della fornitura non può più essere invocata. Ne consegue che in caso di inchieste e procedimenti penali particolarmente lunghi, questo strumento potrebbe rivelarsi inutilizzabile.
Oltre alla Pelletteria Serena, ai primi di marzo il Tribunale di Prato aveva pronunciato sentenza di condanna per i titolari di un’altra ditta cinese, in questo caso una confezione, riconoscendo una provvisionale per il lavoratore africano, assistito anche in questo caso dalla Cgil di Prato.
“Negli ultimi anni – commenta il segretario della Filctem Cgil Juri Meneghetti – abbiamo raccolto decine di denunce da parte di lavoratori sfruttati e pian piano, a seguito delle indagini, queste vicende sfociano in processi e sentenze di condanna. Purtroppo il sistema di sfruttamento del distretto abbigliamento-tessile a Prato continua a correre, mentre il sistema di contrasto a questi fenomeni continua a passeggiare. Chiediamo da tempo e lo facciamo anche al nuovo governo che Prato diventi territorio di applicazione costante di tutte le norme contro lo sfruttamento lavorativo: dall’articolo 603 bis del Codice penale, alla responsabilità solidale negli appalti per stipendi e contributi, che ad esempio può essere agita anche dall’Inps verso i committenti”.