La Procura di Prato ha chiesto il rinvio a giudizio per 163 persone nell’ambito dell’inchiesta Easy Permit che ipotizza un maxi-giro di falsi documentali finalizzati a far ottenere a cittadini cinesi il rinnovo del permesso di soggiorno. L’inchiesta condotta dalla guardia di finanza – che coinvolge 9 fra studi professionali (consulenti del lavoro e commercialisti) e centri elaborazione dati – ha assunto un doppio iter processuale: un anno fa per 4 imputati si è aperto il processo con giudizio immediato per alcune contestazioni per le quali erano all’epoca sottoposti a misura cautelare. Adesso agli stessi professionisti sono contestati altri episodi e i loro nomi figurano nuovamente fra quelli per i quali viene chiesto il processo, assieme a quelli di altri 159 indagati. Imponenti i numeri dell’indagine condotta dai sostituti procuratori Lorenzo Boscagli e Lorenzo Gestri, composta di oltre 67.000 pagine e 44 faldoni.
Secondo l’accusa alcuni studi professionali, con l’apporto di intermediari e “colletti bianchi” cinesi, contribuivano alla permanenza di cittadini orientali in Italia in violazione al Testo unico sull’immigrazione, attraverso la predisposizione di documenti falsi atti a trarre in inganno l’ufficio immigrazione della Questura: buste paga, scritti contabili e dichiarazioni dei redditi di società intestate a prestanome. Nel corso del tempo sarebbero state costituite una cinquantina di ditte fantasma, nei fatti inesistenti, finalizzate alle assunzioni fittizie di cittadini cinesi, in modo da far ottenere ai finti lavoratori il rinnovo del permesso di soggiorno, in base al presupposto dell’esistenza di un rapporto di lavoro in essere.
Il destino giudiziario dell’inchiesta dovrà fare i conti con le difficoltà del Tribunale di Prato già emerse per il maxi-processo alla mafia cinese che stenta a decollare.
Anche nel procedimento dell’inchiesta Easy Permit non si è riusciti a rintracciare una cinquantina di indagati di nazionalità cinese per i quali potrebbe essere emesso decreto di irreperibilità.