E’ forse il processo più importante e imponente che si celebra a Prato: 55 imputati, di cui 27 per associazione di tipo mafioso, contestata tra le prime volte in Italia ad altrettanti cittadini cinesi. Ma non si riesce proprio a farlo partire. Avrebbe dovuto iniziare il 16 febbraio 2022, ma tra difetti di notifiche e smarrimenti di faldoni, la prima udienza è slittata più volte. Anche oggi, dopo 20 minuti di appello per nominare i 55 imputati e i loro avvocati, il giudice del collegio del Tribunale di Prato Matteo Cavedoni ha dovuto nuovamente rinviare il processo perchè per l’ennesima volta non si è riusciti a notificare l’atto di costituzione delle parti a 4 imputati cinesi. O meglio la polizia giudiziaria a cui erano state demandate le notifiche – la Questura di Prato per 3 persone e quella di Milano per un quarto imputato – non hanno neppure comunicato l’esito delle loro ricerche.
Il giudice ha così rinviato tutto al prossimo 26 maggio precisando che gli uffici di polizia giudiziaria che non hanno fatto sapere niente pur avendo 4 mesi di tempo per svolgere le ricerche, la prossima volta saranno sollecitati telefonicamente affinchè sia dato un riscontro ufficiale. In caso di ulteriore difetto di notifica, si procederà a stralciare la posizione degli irreperibili, si dichiarerà l’estinzione del reato per un imputato nel frattempo deceduto e potrà iniziare il processo con le questioni preliminari preannunciate da alcuni avvocati difensori (fra i legali che assistono gli imputati ci sono Melissa Stefanacci, Michele Monaco, Federico Febbo e Costanza Malerba, Patrizio Fioravanti, Massimo Taiti, Tiziano Veltri, Manuele Ciappi e Antonino Denaro). A sostenere l’accusa sarà Lorenzo Gestri, il magistrato pratese da poco trasferito alla Dda di Firenze, che ha ereditato il fascicolo dal collega Eligio Paolini.
L’inchiesta China Truck e l’iter giudiziario
Il maxi-processo alla presunta mafia cinese di Prato è scaturito dalle indagini della squadra mobile di Prato e della Dda di Firenze, partite nel lontano 2011 dopo l’omicidio di due giovani cinesi a colpi di machete in una tavola calda di via Strozzi nell’estate 2010.
Secondo la tesi dell’accusa, nella nostra città si era radicato un gruppo criminale che avrebbe commesso estorsioni, usura, esercizio abusivo del credito, gioco d’azzardo, traffico di droga, illeciti fiscali e tributari ed altri reati funzionali a conquistare e mantenere il controllo del territorio e i cui profitti sarebbero stati in parte reinvestiti in attività produttive, in particolare nel settore dell’autotrasporto delle merci delle ditte cinesi che da Prato raggiungevano tutta Europa. Un settore in cui il gruppo avrebbe mirato ad assicurarsi il monopolio. L’attività illecita si sarebbe avvalsa della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne derivava nella comunità cinese.
L’inchiesta, denominata China Truck, portò all’inizio del 2018 ad una serie di arresti, che fecero balzare Prato all’attenzione della stampa internazionale (fra cui il New York Times) quale capitale della mafia cinese in Europa. Lo stesso Federico Cafiero De Raho, allora procuratore nazionale antimafia, nel giorno degli arresti parlò della “conferma della piena operatività della mafia cinese in Italia, che opera anche in Francia, Germania, Olanda, Spagna con la capacità di proiettarsi da punto di vista criminale ed economico su scala internazionale”.
Ma gli arrestati restarono in carcere soltanto per 20 giorni; il Tribunale del Riesame e poi la Cassazione non ravvisarono gli estremi del 416 bis.
Il prosieguo dell’inchiesta e i nuovi elementi acquisiti hanno poi portato al rinvio a giudizio per 79 imputati, di cui 44 per associazione mafiosa.
Per alcuni di essi, le posizioni sono state successivamente stralciate e 6 persone sono state giudicate separatamente dal Tribunale di Prato con rito immediato nei mesi scorsi: due cittadini cinesi sono stati condannati a 8 e 6 anni per estorsione e spaccio di droga, mentre per gli altri 4 imputati sono state dichiarate assoluzioni e prescrizioni. Fra questi, è stato assolto dall’accusa relativa ad un episodio di usura anche Zhang Naizhong, assistito dagli avvocati Melissa Stefanacci e Michele Monaco, il 62enne ritenuto dagli inquirenti il “Padrino” o “l’Uomo nero”, a capo dell’associazione mafiosa.
Zhang Naizhong, assieme agli altri 26 presunti appartenenti all’associazione mafiosa, come detto, è imputato nel maxi-processo al Tribunale di Prato che, dopo un anno e mezzo di rinvii, partirà il 26 maggio prossimo. Salvo ulteriori imprevisti.