Ritmi di lavoro disumani, episodi di violenza, condizioni di lavoro insicure e falsi attestati di formazione. E’ il quadro che emerge dall’ennesima inchiesta sullo sfruttamento lavorativo nelle ditte di confezioni e pronto moda cinesi coordinata dalla Procura di Prato, che ha portato stamani all’esecuzione di 4 misure cautelari a carico di una coppia di imprenditori cinesi (arrestati) e di due loro fedelissimi collaboratori (posti ai domiciliari), fra cui un prestanome.
L’indagine ha riguardato l’azienda Dreamland ed è scaturita dalla brutale aggressione con cui l’11 ottobre 2021 un gruppo di cittadini cinesi ha sedato sul nascere un disperato tentativo di emancipazione da parte dei lavoratori della stessa ditta. Quel giorno il Si Cobas aveva promosso una manifestazione davanti ai cancelli dell’azienda. Per reprimere l’iniziativa sindacale una decina di persone, armate di spranghe, bastoni e mazze da baseball, sorpresero il gruppo dei manifestanti colpendoli con violenza al corpo e al volto, costringendo 4 persone a ricorrere alle cure ospedaliere.
Nei giorni successivi gli accertamenti della Digos portarono ad identificare e denunciare 8 persone per quell’agguato, ma parallelamente sono scattate indagini più complesse condotte da Asl, Carabinieri e Ispettorato del Lavoro per verificare le condizioni di lavoro nella fabbrica.
Sopralluoghi ispettivi, intercettazioni telefoniche, analisi di tabulati e visione di filmati hanno confermato i racconti dei 20 lavoratori sfruttati che sono stati sentiti dagli inquirenti. Gli operai cinesi e pakistani erano costretti a lavorare 7 giorni su 7, per 13 ore al giorno, con brevissime pause concesse soltanto per mangiare alle medesime postazioni di lavoro. Il tutto per retribuzioni da fame: a cottimo dai 7 ai 13 centesimi per capo lavorato, oppure compensi forfettari inferiori ai 3 euro l’ora. Le paghe erano perfino più basse per i lavoratori sprovvisti di permesso di soggiorno.
Le condizioni di sicurezza all’interno della fabbrica sono definite dagli inquirenti “assolutamente precarie”. Durante l’indagine sono state numerose le prescrizioni impartite dai tecnici della prevenzione della Asl, in alcuni casi mai ottemperate.
Tra le irregolarità riscontrate: percorsi d’esodo e vie di emergenza ostruite, locali impropriamente adibiti a dormitorio ricavati negli stessi luoghi di lavoro, carenze impiantistiche e la completa assenza di formazione e informazione alle maestranze, del tutto ignare dei rischi lavorativi e delle misure di protezione da adottare. L’attenzione del gruppo antisfruttamento della Asl si è posata anche sul rilascio di falsi attestati formativi. Un fenomeno preoccupante, reso possibile dalla collaborazione di professionisti conniventi – riferiscono gli inquirenti – sul quale sono ancora in corso ulteriori approfondimenti investigativi.
Agli indagati viene contestato di aver approfittato dello stato di bisogno delle vittime, senza aver mostrato nel tempo alcun comportamento riparatorio.
“L’inchiesta – aggiungono dalla Procura – ha difatti svelato chi fossero i mandanti e alcuni degli esecutori materiali della violenta aggressione dell’11 ottobre 2021, restituendo la misura della spregiudicatezza con la quale gli indagati hanno condotto l’iniziativa imprenditoriale, con il solo scopo di massimizzare i profitti sottoponendo gli operai a condizioni di lavoro disumane, calpestando la loro dignità”.
Ad aggravare il quadro di soggezione e prevaricazione ci sarebbero “risarcimenti economici tesi ad ottenere il “silenzio” di alcuni lavoratori, le pretese “estorsive” consistenti nella restituzione di quota parte degli emolumenti, i metodi di sorveglianza fisica e digitale e inoltre il fenomeno delle dimissioni volontarie dei lavoratori, completamente soggiogati dai propri datori di lavoro in una sorta di ricatto vitale: ‘O lavori alle mie condizioni o ti dimetti’. Aspetto, quest’ultimo, rilevato in tutte le aziende, gestite dagli indagati, che si sono susseguite nel tempo”.
Cospicua inoltre, la quota di evasione contributiva – nonché del profitto del reato di sfruttamento – rilevata dagli investigatori, per la quale la guardia di finanza sta procedendo al sequestro preventivo per equivalente dei beni per un ammontare di circa 120.000 euro.
Le vittime di sfruttamento lavorativo saranno inserite all’interno dei percorsi previsti all’interno del protocollo unitario di intesa contro lo sfruttamento stipulato tra Procura, Comune, Asl, Cgil, Cisl e Uil ed altri partner nella lotta allo sfruttamento; percorsi che prevedono la presa in carico dei lavoratori vittime certificare di sfruttamento, al fine di garantire loro un percorso di tutela sociale e giuridica.
In una nota il sindaco Matteo Biffoni ringrazia la Procura della Repubblica di Prato, il Gruppo investigativo dei Carabinieri, il Gruppo Antisfruttamento del Dipartimento di Prevenzione della Asl Toscana Centro e la Guardia di Finanza per l’indagine sul prontomoda Dreamland. “Non c’è posto a Prato per chi lucra sullo sfruttamento dei lavoratori facendo del lavoro un ricatto – afferma il sindaco – Ancora una volta gli organi investigativi, le forze dell’ordine e le istituzioni del territorio si sono unite secondo le proprie competenze per raggiungere un obiettivo unitario, impedire che nel distretto ci siano soggetti che fanno impresa infrangendo ogni regola civile e senza rispetto per la dignità dei lavoratori”.