Lo scienziato pratese Luca Bindi firma su Nature una nuova importante scoperta: “Al centro della terra anche metano e idrogeno molecolare”
L'analisi, coordinata dall'Università di Padova in collaborazione con l’Università di Firenze, conferma per la prima volta che le placche tettoniche penetrano nel mantello seguendo talvolta percorsi non lineari. Lo studio potrebbe contribuire anche a comprendere l’origine dei terremoti profondi e di grande magnitudine
Non solo acqua: al centro della Terra ci sono anche metano e idrogeno molecolare. Questo, in sintesi, il cuore della nuova importante scoperta, firmata anche dallo scienziato pratese Luca Bindi, che torna a far discutere e ad aprire nuovi scenari in ambito universitario e di ricerca. Lo studio – pubblicato su “Nature” – è coordinato dall’Università di Padova in collaborazione con l’Università di Firenze, e conferma per la prima volta che le placche tettoniche penetrano nel mantello seguendo talvolta percorsi non lineari. La scoperta potrebbe in sostanza contribuire anche a comprendere l’origine dei terremoti profondi e di grande magnitudine.
Tutto ruota attorno alla figura dei diamanti. I diamanti super profondi, quelli estremamente rari che si formano a profondità da 300 fino a 1.000 km all’interno del mantello terrestre, sono infatti vere e proprie capsule inerti capaci di trasportare “frammenti” di terra profonda fino alla superficie terrestre senza quasi alcuna alterazione chimica. L’articolo che racchiude queste osservazioni – dal titolo “Extreme redox variations in a superdeep diamond from a subducted slab” – ha come prima firma Fabrizio Nestola del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova con il contributo, appunto, di Luca Bindi del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze (noto per le sue ricerche sui quasicristalli) ed è stato pubblicato su Nature da un team di ricerca internazionale a cui hanno partecipato anche l’Università canadese di Alberta, la tedesca di Bayreuth, l’americana Northwestern University e l’inglese University of Glasgow.
L’analisi descrive la composizione di un diamante davvero unico e sensazionale. Il diamante studiato incorpora particolari inclusioni che testimoniano una sequenza complessa di reazioni chimiche che avvengono su una placca tettonica in subduzione – cioè quella placca che scorre al di sotto di un’altra placca e che può sprofondare verso l’interno del mantello terrestre – al “confine” tra la zona di transizione, tra i 410 e i 660 km di profondità, e il mantello inferiore, settore che si estende da 660 km fino al nucleo terrestre esterno a 2900 km di profondità. Il processo di subduzione è uno dei principali fenomeni geologici che stanno alla base della tettonica delle placche sul nostro pianeta, la teoria che indica come la litosfera, l’involucro solido più esterno della Terra dello spessore di 70-100 km, sia divisa in circa venti porzioni rigide, dette appunto placche.
La tipologia di inclusioni analizzate come il ritrovamento di forsterite pura, un caso unico, che è un minerale del mantello terrestre con composizione Mg2SiO4 e le reazioni chimiche che sono avvenute all’interno del diamante studiato indicano e confermano la presenza di acqua a grandissime profondità (circa 660 km), in concomitanza a metano (CH4), idrogeno molecolare H2 e la presenza di settori, sempre a queste profondità, costituiti da ferro metallico ritenuto fino a oggi essere presente solo nel nucleo terrestre. Allo stesso tempo, la scoperta conferma empiricamente per la prima volta ciò che era stato solo simulato in geofisica da calcoli molto complessi: le placche tettoniche penetrano nel mantello talvolta seguendo percorsi non lineari.
“Non si può escludere che tali percorsi possano essere un’ulteriore complessità da considerare per i sismologi che studiano lo sviluppo di alcuni terremoti estremamente profondi che talvolta raggiungono magnitudo 7 e che si verificano a profondità superiori ai 600 km, come nelle Filippine (675 km di profondità), in Papua Nuova Guinea (735 km), nelle Ande e in Indonesia. Sismi così profondi si sono verificati anche in Spagna, al di sotto della città di Granada (630 km), e più raramente anche in Italia, nel Tirreno meridionale, dove si sono registrati terremoti anche al di sotto dei 600 km di profondità – dice Fabrizio Nestola –. La letteratura scientifica ritiene che tali terremoti siano correlati alle placche in subduzione e il nostro articolo non fa che supportare questa ipotesi andando a rendere ancora più complesso lo scenario, non solo con un andamento della placca non lineare, che si muove verso grandi profondità, ma causando una sequenza di idratazione e disidratazione delle rocce che stanno entrando nel mantello inferiore».
“L’effettiva presenza di acqua a grandissime profondità nella Terra era stata già scoperta nel 2014 grazie a un altro diamante super profondo – conclude Luca Bindi, ordinario di Mineralogia Unifi –, tuttavia con questo nuovo studio non solo confermiamo che l’acqua deve essere assolutamente presente tra la zona di transizione e il mantello inferiore, ma che a quelle profondità dobbiamo anche avere altri fluidi come il metano e l’idrogeno molecolare”.