Sulla cessione dei crediti edilizi rischiano di infrangersi tutte le speranze di sopravvivenza di centinaia di imprese sul territorio di Prato e Pistoia. L’allarme è lanciato da CNA Toscana Centro e CNA nazionale che hanno stimato l’impatto sulle imprese pari a 2,6 miliardi di crediti fiscali anticipati attraverso lo sconto in fattura: crediti che non è stato poi possibile recuperare per il blocco innescato dal sistema bancario e finanziario.
Il risultato, stando alle cifre emerse dall’indagine, è devastante: sono infatti a rischio chiusura quasi 800 imprese nell’area di Prato e Pistoia, circa 5.000 in tutta la Toscana e ben 33mila in Italia, con una potenziale perdita di 150mila posti di lavoro in tutta la filiera delle costruzioni. A conferma di quanto sostenuto da CNA ci sono poi le cifre piovute dal Governo che parlano di 5 miliardi di crediti edilizi non accettati dalle banche e quindi bloccati sulla piattaforma del fisco.
Secondo l’ultima indagine di Cna nazionale, effettuata su 2mila imprese, la consistenza dei crediti bloccati (circa il 15% del totale) mette in crisi oltre 60mila imprese italiane che si ritrovano con un cassetto fiscale pieno di crediti da riscuotere ma senza liquidità. Il 48,6% del campione parla di rischio fallimento, il 68,4% di blocco dei cantieri.
A lanciare l’allarme, dati e analisi alla mano, sono proprio gli addetti ai lavori e cioè tutti i Presidenti delle categorie interessate di CNA Toscana Centro: Mirko Rindi (presidente Termoidraulici), Sergio Perna (presidente Elettricisti), Riccardo Castellucci (presidente Edilizia) e Lorenzo Mucci (presidente Serramentisti)
Come spiegano infatti i presidenti delle categorie coinvolte di CNA Toscana Centro “siamo di fronte ad una situazione paradossale e ad quadro normativo incerto che cambia di continuo. Per questo le banche hanno bloccato gli acquisti e oggi i crediti che attendono di essere accettati superano i 5 miliardi di euro di cui quasi il 90% riferiti a sconti in fattura o prime cessioni. Ecco perché gran parte delle imprese dichiara di non essere più in grado di applicare gli sconti in fattura e la crisi di liquidità aumenta, mettendo a rischio i cantieri per l’impossibilità di pagare fornitori e materiali”.
Ma come tentano di reggere l’urto le aziende ?
“La situazione è così complicata che il 50% degli intervistati ammette di pagare in ritardo i fornitori, il 30,6% rinvia invece tasse e imposte e il 20% non riesce a pagare i collaboratori. I rischi di questo meccanismo deviato sono altissimi: il 68% del campione intervistato paventa lo stop ai lavori dei cantieri e la loro chiusura mentre il 48,6% delle aziende teme addirittura il fallimento.
“L’opportunità del Superbonus purtroppo si sta rivelando un vero e proprio boomerang per la filiera delle costruzioni, perché tutti questi interventi normativi sui bonus fiscali finiscono per produrre solo un grande caos sia nelle imprese che nei committenti. Tutto questo non fa che frenare e scoraggiare il mercato e non ottiene l’effetto voluto dal Governo, cioè contrastare le frodi. Questo, per non parlare dell’aumento indiscriminato dei prezzi sui materiali e della loro carenza, tutti fattori che rischiano seriamente di mandare in crisi centinaia di aziende che grazie al Superbonus stavano invece facendo da volano per far ripartire il Paese”.
“E’ evidente – proseguono Rindi, Perna, Castellucci e Mucci- che il meccanismo della cessione e dello sconto in fattura può reggere solo a condizione che il bonus ricevuto nel proprio cassetto fiscale possa essere ceduto ad un soggetto finanziario per rendere liquido il credito e sostenere le spese correnti aziendali. Su queste certezze le nostre imprese hanno impostato la loro programmazione, prenotato materiali, reclutato nuova manodopera e firmato contratti con la clientela, assumendo precisi impegni. Purtroppo, ad oggi, il sistema è di fatto bloccato da mesi con l’impossibilità di smobilizzare il credito d’imposta necessario per la sopravvivenza stessa dell’impresa”.
CNA da tempo chiede provvedimenti urgenti per sbloccare questa situazione e restituire liquidità alle imprese. Ad esempio, un passo avanti potrebbe essere rappresentato dall’abolizione delle SOA, chiesta a gran voce con una lettera aperta ai parlamentari da Cna e altre organizzazioni che sottolineano nella missiva “a compendio di un quadro normativo intricato, è arrivata l’approvazione della norma che ha previsto l’obbligatorio possesso delle attestazioni SOA per i lavori che danno diritto alle detrazioni edilizie di importo superiore ai 516 mila euro, anche per le imprese che operano in subappalto, provocando ulteriore disorientamento tra imprese e cittadini. È cominciata così la corsa alle circa 23.000 imprese in possesso di una qualunque delle attestazioni SOA, a fronte di circa 500.000 imprese nel comparto delle costruzioni, premiando esclusivamente chi può gestire la complessità burocratica, invece di chi vanta una lunga tradizione del “saper fare”, riconosciuta dai clienti e dal mercato. La nuova norma è stata approvata sul presupposto di garantire sicurezza, trasparenza e qualità nella esecuzione dei lavori, principi da noi ampiamente condivisi, ma la soluzione è del tutto inappropriata. È bene richiamare l’attenzione sul fatto che il mero possesso dell’attestazione SOA, a distanza di oltre 20 anni di funzionamento, non ha certamente garantito, nell’ambito degli appalti pubblici, né la sicurezza sul lavoro, né tantomeno la qualità dei lavori. Va inoltre ricordato che l’accesso ai benefici dei bonus è comunque subordinato a una lunga serie di verifiche molto stringenti, parte delle quali affidate ai professionisti che, oltre al progetto, devono rilasciare asseverazioni e visti di conformità che garantiscono la corretta esecuzione dei lavori, la congruità dei costi ed il loro allineamento ai prezziari definiti per norma. La certificazione SOA rappresenta, quindi, una vera e propria barriera anticoncorrenziale di ingresso al mercato, che favorisce chi ne è già in possesso o magari qualche associazione che vanta partecipazioni dirette in società per il rilascio dell’attestazione. Per questo – concludono le organizzazioni – chiediamo la cancellazione della norma introdotta dall’articolo 10bis del decreto-legge n. 21/2022”.