È alle battute conclusive il processo per il fallimento del Creaf, la partecipata su cui negli anni sono stati immessi 22 milioni di euro di soldi pubblici, società dichiarata fallita nel febbraio 2017.
Il pubblico ministero Lorenzo Boscagli ha chiesto oggi la condanna per cooperazione colposa in bancarotta semplice per gli imputati: 1 anno e 6 mesi per l’ex presidente della Provincia Lamberto Gestri, 1 anno la richiesta di pena per l’ex presidente della Provincia Matteo Biffoni; rispettivamente 1 anno e 8 mesi e 1 anno e 4 mesi per gli allora amministratori del Creaf Luca Rinfreschi e Laura Calciolari. Richiesta di condanna anche per i componenti del cda Veronica Melani (1 anno e 7 mesi) e Gianmario Bacca (1 anno e 4 mesi) e per i revisori dei conti Giovanni Picchi e Marco Bini (1 anno e 6 mesi).
Secondo la pubblica accusa, i conti del Creaf non si reggevano da alcuni anni e già dal bilancio approvato nel marzo 2011 – per le conseguenze di una legge introdotta a maggio 2010 che impediva ad enti pubblici di finanziare partecipate in perdita da 3 esercizi – ci sarebbero stati i presupposti per portare i libri in Tribunale. Le condotte dilatorie degli imputati, sempre secondo l’accusa, avrebbero aggravato il dissesto producendo un danno patrimoniale quantificato in 5,2 milioni di euro.
Nella sua requisitoria, durata 5 ore, il pm Boscagli ha sottolineato più volte le richieste reiterate negli anni dagli organi amministrativi di Creaf alla Provincia, socio di maggioranza con l’81,69% delle quote, di finanziare l’attività ordinaria, con il rischio, in caso contrario, di non riuscire ad assicurare la continuità aziendale.
Una richiesta che la Provincia non poteva assecondare, stanti i paletti al finanziamento delle partecipate introdotti per legge dallo Stato nel 2010, che rendevano possibili solo trasferimenti di denaro sotto forma di contratto di servizio oppure per spese di investimento. Eccezioni non applicabili al caso del Creaf, secondo quanto hanno sempre ribadito gli stessi dirigenti della Provincia (di tenore diverso alcuni pareri legali che erano stati acquisiti dalla partecipata).
Si viene così a creare un vicolo cieco: in quel momento Palazzo Buonamici aveva già anticipato a Creaf finanziamenti per 5,9 milioni di euro. Un contratto stipulato tra il socio di maggioranza e la partecipata nel maggio 2019 prevedeva che si potessero anticipare altre somme nel 2019-2020, fino ad un massimo di 7,5 milioni di euro, ma prevedeva anche clausole stringenti per Creaf: il termine del 31 dicembre 2010 per la restituzione dell’anticipazione finanziaria; l’eventuale accensione di un mutuo bancario a tale fine; la fissazione di penali di 500 euro al giorno per la mancata restituzione.
Quando arriva la scure al finanziamento delle società partecipate in perdita, nel maggio 2020, la situazione di Creaf – nell’analisi del pubblico ministero Boscagli – è critica: “Sette mesi dopo la partecipata avrebbe dovuto restituire alla Provincia l’anticipazione finanziaria di 5,9 milioni di euro, accendendo un mutuo. Il problema è che Creaf non aveva alcuna possibilità di accedere al credito perchè non poteva assicurare garanzie di restituzione: non aveva ricavi dal 2005 e attraversava ancora una lunga fase di start up dove si faceva la ristrutturazione dell’immobile. Nè – ha aggiunto il pubblico ministero – era prevista a breve termine la possibilità di generare ricavi, che dipendevano dalla conclusione del secondo lotto, di cui un mese prima erano stati sospesi i lavori per problemi di impugnazione amministrativa”.
Dai successivi bilanci – secondo l’accusa – si sarebbero dovuto trarre le conclusioni di una impossibilità ad assicurare la continuità aziendale e far fronte ai debiti contratti. Ma la Provincia di Prato tentò altre carte per scongiurare il fallimento di un progetto – il centro di ricerca e alta formazione del tessile – che aveva caratterizzato anche i mandati precedenti: il coinvolgimento di privati per l’affitto degli spazi, la collaborazione con il Polo tecnologico di Navacchio come partner per la gestione e il ricorso ad altre forme di finanziamento, con il concorso della Regione, per concludere i lavori di ristrutturazione dell’immobile di via Galcianese.
Tentativi inutili – secondo la ricostruzione del pubblico ministero – che non potevano dare risposte nell’immediato e risolvere il cortocircuito del finanziamento della gestione ordinaria in perdita. I finanziamenti regionali erano infatti fondi di scopo indirizzati all’esecuzione dei lavori; i privati, tra cui Pin e Tecnotessile, fino agli ultimi mesi di vita della società chiesero all’amministratrice unica Calciolari ulteriori opere e garanzie per potersi insediare nei locali. E lo stesso Polo di Navacchio, individuato con un un protocollo di intesa sotto la presidenza Gestri, si tirò indietro successivamente non partecipando al bando, andato deserto, per la futura gestione dell’immobile, pubblicato quando la Provincia, dopo consulti legali, ebbe conferma che proprio il bando pubblico sarebbe stato necessario per individuare il soggetto gestore.
“Nelle assemblee che si susseguono nel corso degli anni – ha detto Boscagli – gli organi politici della Provincia fanno aperture, dichiarazioni di principio che sostengono il progetto. Ma sono vane affermazioni che si scontrano con gli atti stessi che la Provincia compie, tutti univoci, nel rispetto delle posizioni dei propri dirigenti: impossibilità di finanziare ulteriormente e richiesta di restituzione dell’anticipo. L’ultima erogazione della Provincia in favore di Creaf è del 5 febbraio 2010: da lì al fallimento del 17 febbraio 2017 non ci sarà alcuna corresponsione di denaro a titolo di finanziamento soci. La cessazione del sostegno finanziario della Provincia, come ci ha detto il curatore fallimentare Castoldi, produce una oggettiva ed insanabile possibilità di finanziare i costi della gestione ordinaria. Eppure si va avanti ad approvare i bilanci fino a quello del 2015 sotto la presidenza Biffoni”.
La difesa di Lamberto Gestri
Dopo la requisitoria del pubblico ministero, ha iniziato l’arringa difensiva l’avvocato Renga, il legale di Lamberto Gestri, che proseguirà nella prossima udienza fissata per il 18 maggio.
“Se c’è stata una persona che ha cercato in tutti i modi di salvare il Creaf, anche dopo l’entrata in vigore della legge del 2010, cercando altre strade finalizzate al sostentamento della società questo è stato Gestri” – ha detto l’avvocato Renna, che ha citato anche il parere chiesto alla Corte dei Conti per capire a quali fondi attingere per completare l’investimento nella partecipata. L’avvocato ha aggiunto che occorre valutare se in base agli elementi conoscibili all’epoca fosse giusto o meno proseguire nel tentativo di far decollare l’attività. “Nella ricostruzione del pm doveva essere valorizzata l’attenzione, la cura, la volontà di assecondare il completamento del Creaf e invece si è insistito sulla perdita della continuità aziendale. Le accuse nel processo penale devono essere connotate da specificità: non si può dire genericamente come è stato scritto sui giornali che sono andati in fumo 22 milioni di euro. Ricordiamoci che questo tipo di immobile oggi ha il vanto di essere il centro vaccinale tra i più importanti della Regione Toscana”.
“Quando dette l’anticipazione finanziaria al Creaf – ha continuato l’avvocato Renna – la Provincia aveva 42 milioni di euro sul conto corrente. Se quella norma non fosse entrata in vigore, oggi non ci troveremmo in questa situazione e la Provincia gliene avrebbe potuti dare anche 42 milioni per farci un centro vaccinale, un asilo nido, un parco giochi, qualsiasi cosa. Negli anni dal 2011 al 2014 lo scopo del Creaf era ultimare l’investimento, reperire risorse per completare opera, questo era il vero criterio per dare continuità alla società”.
Dario Zona