Naufragio Concordia, a monitorare i movimenti del relitto c’erano i sismologi pratesi
La chiamata dall’Università di Firenze poche ore dopo il naufragio
A Prato c’è qualcuno che il naufragio della Costa Concordia se lo ricorda molto bene. Perché dopo poche ore era là, sulle scogliere di fronte al relitto, con la responsabilità di controllare l’enorme nave adagiata su un fianco. La chiamata per i sismologi pratesi arrivò infatti a poco più di un giorno dal drammatico incidente all’Isola del Giglio. Alla Prato Ricerche, così si chiamava allora l’Istituto Geofisico Toscano della Fondazione Parsec, fu affidato dal Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze il monitoraggio del relitto, per valutare lo spostamento dello scafo attraverso la misurazione delle vibrazioni del suolo. In Toscana tuttora l’Istituto è l’unico a disporre degli strumenti e degli esperti per un’attività di questo genere.
“La situazione era complessa, lo scafo si era incagliato su due speroni di roccia, ma in quel punto la profondità è di circa 150 metri e se le rocce si fossero fratturate o la nave fosse scivolata sarebbe affondata, mettendo a rischio i soccorritori che stavano lavorando all’interno del relitto alla ricerca dei dispersi”. Marco Morelli, direttore della Fondazione Parsec fu il primo a partire per il Giglio, all’alba del 15 gennaio 2012, per organizzare il trasporto delle attrezzature che poche ore dopo arrivarono con il sismologo Andrea Fiaschi.
“Piazzammo gli strumenti sugli scogli di fronte all’enorme e incombente fiancata della nave, intorno a noi mucchi di giubbotti salvagente, vestiti, scarpe, effetti personali sparsi sulle rocce, testimoni delle ore drammatiche appena trascorse. Fu un momento di grande emozione – racconta Fiaschi – Per le prime ore utilizzammo un sismografo portatile a batteria, poi abbiamo installato tre stazioni sismiche a distanze diverse – a poche decine di metri la prima e a circa 200 metri la più lontana – supportate da pannelli fotovoltaici e modem che consentivano di trasmettere i dati in tempo reale, in modo da dare l’allarme immediatamente in caso la nave si fosse mossa”. La sede logistica era la scuola dell’infanzia di Giglio Porto, qui nelle prime settimane venivano elaborati i dati.
“Ci sono stati momenti difficili – raccontano ancora Morelli e Fiaschi – Per esempio quando abbiamo dovuto montare l’antenna di rilevamento sul tetto della scuola nel bel mezzo di una burrasca di vento e neve e temevamo che il mare molto mosso avrebbe sganciato la nave dal suo ancoraggio. Invece si spostò, ma solo di pochi centimetri. In quei giorni, infatti, alla presenza della nave, si aggiunsero anche diversi centimetri di neve, davvero rarissima per il Giglio”.
Il monitoraggio di ogni minimo spostamento fu fondamentale anche per le operazioni di recupero del carburante dai serbatoi del relitto, operazione delicatissima per il rischio di dispersione in mare. Controllare i movimenti dello scafo, lungo 300 metri, non era certo impresa facile, anche perché la nave si è via via fortemente deformata a causa dell’enorme peso scaricato sul fianco che poggiava sugli scogli. Alle rilevazioni sismografiche si aggiunsero poi radar, laser e riflettori che misuravano costantemente la distanza dal relitto e anche un estensimetro, un filo legato alla terraferma.
Il monitoraggio della Concordia è proseguito per oltre un anno. Dopo la prima fase in cui gli esperti si alternavano al Giglio, la centrale operativa di analisi dei dati fu trasferita a Prato, ma i report alla Protezione civile sull’attività osservata proseguirono. Tutto quanto è stato poi descritto in uno studio scientifico pubblicato su una rivista internazionale, si è trattato infatti di un monitoraggio sismologico unico al mondo.