«Prato, guarda avanti!». La lettera del vescovo Giovanni alla città
In occasione dell'8 settembre Nerbini ha scritto un messaggio indirizzato a tutti i pratesi
Quattro i temi al centro della riflessione: non rimpiangere il passato; salvare il lavoro, non la rendita; intrecciare le diverse intelligenze; guardare ai giovani
«Prato, guarda avanti!». Si intitola così la «Lettera alla città» che il vescovo monsignor Giovanni Nerbini scrive in occasione della festa più cara ai pratesi, l’8 settembre, Natività di Maria. Questa mattina, durante la solenne concelebrazione nella basilica cattedrale di Santo Stefano, davanti alle autorità cittadine che tradizionalmente prendono parte al pontificale, il Presule ne presenterà i contenuti e ne illustrerà le ragioni.
È proprio l’incipit della lettera a spiegarli: «Abbiamo iniziato a tessere quella che è la storia della Prato di domani. Fili e lacci di colori diversi, a volte cupi – scrive Nerbini – hanno tenuto unite le nostre vite quotidiane in questo ultimo anno e mezzo: il dolore di tanti – che la pandemia ha toccato negli affetti, nel corpo, nelle condizioni di vita, nel lavoro, nelle relazioni, nello studio – così come le attese di giorni più sereni, di una vita segnata dalla cura per la dignità della persona, di una città capace di essere a misura di umanità». Ma, come aveva già coraggiosamente proposto proprio nei giorni più bui del lockdown, il 19 marzo 2020, il Presule chiede a tutti di gettare oltre lo sguardo e il cuore: «Adesso, dopo quelli che, si spera, sono stati i mesi più duri di questa emergenza sanitaria è avanti che dobbiamo guardare. E per farlo Prato può ricorrere alla sua antica sapienza: ossia tessere, intrecciare fili diversi secondo un disegno creativo, ma unitario. Perché tessere è volontà di raggiungere una mèta, portando la tela sempre più avanti».
Un’immagine, così tipica del «genio» pratese, che si collega, nel senso, al percorso #farepatti, di ascolto e dialogo con la città nel secondo lockdown della pandemia, tra l’autunno e l’inverno, che il Vescovo aveva avviato in occasione del quinto anniversario della visita di Papa Francesco alla città di Prato. È da questa iniziativa, poi sfociata in un incontro con le istituzioni e le parti sociali del luglio scorso, che nasce la Lettera dell’8 settembre.
Profondamente convinto, da credente e da Pastore, che la Sacra Scrittura, «con la sua ricchezza spirituale e di umanità, si pone dinanzi a noi anche in questo tempo nel quale la pandemia ci obbliga a misurarci con la realtà», il vescovo Giovanni è da una vicenda biblica che fa partire la sua Lettera: il sogno del giovane re Salomone, appena asceso al trono. Al sovrano che lamenta di essere solo un giovane e che chiede al Signore «un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male», Dio concede «un cuore saggio e intelligente».
Dal racconto biblico il Vescovo fa emergere «quattro elementi che parlano con il nostro oggi, a tutte le donne e gli uomini che con noi affrontano questo tempo di prova», perché «soffermarci su di essi – si legge nella lettera – credo possa aiutarci a pensare in profondità la realtà nella quale siamo calati e rischiarare i sentieri che in essa si aprono».
Sono le quattro «tracce di cammino» che monsignor Giovanni Nerbini propone alla città, oltre l’emergenza ancora non terminata: «non rimpiangere il passato», «salvare il lavoro, non la rendita», «intrecciare le diverse intelligenze», «diventare un popolo affidandosi ai giovani».
Non rimpiangere il passato. «Nessuno di noi ha la forza, da solo, di assolvere a questo compito (“pensare il presente e il futuro della città di cui siamo parte”, ndr) e dunque – spiega Nerbini –
abbiamo bisogno di disporci all’ascolto e alla comprensione e dobbiamo farlo assieme, aiutandoci l’un l’altro a capire, perché in ciascun essere umano alberga un frammento di verità. Accanto a questo, avere un cuore disposto ad apprendere ci ricorda – è l’ammonimento del Vescovo – che non dobbiamo rinchiuderci in idee staccate dalla realtà, nel rimpianto del passato – tanto tenace nei pratesi degli ultimi anni – o nella tentazione di riprodurlo».
Salvare il lavoro, non la rendita. «È la sapienza – afferma Nerbini – che ci consente di dire che è male pensare di uscire dalla crisi salvando la rendita, uno dei virus della Prato degli ultimi decenni, anziché il lavoro e con esso le donne e gli uomini. È la sapienza che ci fa riconoscere il bene negli sforzi di restituire alla loro funzione sociale l’iniziativa privata e l’azione di sindacati, associazioni di categoria, forze politiche e culturali».
Intrecciare le diverse intelligenze. «La nostra comunità ha bisogno di attingere alle tante intelligenze che in essa già ora operano. Il distretto del «fare» – è la convinzione del presule – ha oscurato troppo spesso la città «del pensare», lasciando da parte competenze, risorse intellettuali, ricerca e confronto di idee». E, tra le tante citate, una è immediatamente sottolineata: «Abbiamo l’urgenza di mettere a frutto l’intelligenza del lavoro, dei tanti mestieri e delle tante professioni che la nostra Prato esprime».
La proposta di lavorare insieme nasce dall’amore per la città e per tutto il suo territorio, nella quale Nerbini è arrivato proprio due anni fa come Pastore; nasce da una preoccupazione viva per il bene comune e dalla disponibilità a lavorare con le istituzioni e tutte le realtà della comunità locale per costruire la città del domani. Lo aveva detto chiaramente – e il passaggio non a caso è richiamato nella Lettera – proprio durante l’ostensione straordinaria del Sacro Cingolo nella festa di San Giuseppe 2020, immagine simbolo della pandemia a Prato: «Una nuova città dove la politica, quella con la P maiuscola, prevalga sulla finanza, dove il bene comune sappia comporre i pur legittimi interessi particolari, dove la legge prevalga sull’illegalità e lo sfruttamento, dove italiani e cinesi – senza dimenticare le altre etnie – sappiano dar vita insieme a nuove opportunità economiche e di lavoro, dove tutte le principali componenti lascino da parte le proprie visioni particolari e sappiano disegnare insieme un nuovo volto della città, perché – come ci dice l’emergenza del Coronavirus – solo insieme potremo salvarci».
E per salvarci, il Vescovo propone, con coraggio e fiducia, di guardare ai giovani: «Non solo per prenderci cura di loro: più ancora, per chiedere loro di indicarci la direzione che la nostra comunità deve prendere, verso dove iniziare a camminare e così diventare popolo». Proprio soffermandosi sulle nuove generazioni il Vescovo si sofferma per concludere la sua Lettera: «Se è del contributo e dell’impegno di tutti che abbiamo bisogno, è soprattutto ai giovani che dobbiamo affidarci, domandando loro, certo, anche un di più di responsabilità. Prato – spiega il Presule – conta una popolazione giovanile superiore alle altre città vicine, una risorsa che troppo spesso dimentichiamo». Per mons. Nerbini sono «i loro cuori quelli più “docili”, disposti ad ascoltare e apprendere. Sono loro i più pronti a ricevere ed esercitare la sapienza e l’intelligenza, a dirci ciò che è male e ciò che è bene, a spiegarci come tenere assieme economia, socialità, cultura, politica, fede e dare al domani di Prato il volto e lo sguardo di un popolo che sa camminare nella storia degli uomini. È sulla loro “misura” – ecco l’appello finale – che dobbiamo costruire la città di domani».