Sette secoli più nove anni. Tanto è passato dalla quella notte, vera e allo stesso tempo leggendaria, nella quale un chierico pistoiese di nome Musciattino cercò di rubare la Sacra Cintola ai pratesi. La storia è nota e avvenne tra il 27 e il 28 luglio 1312. Per questo il 28, secondo il calendario «proprio», ricorre la festa della Madonna del Sacro Cingolo, la preziosa reliquia simbolo della città e della Chiesa di Prato.
Ricordiamo quella vicenda di 709 anni fa riportando quanto scrisse don Renzo Fantappiè, direttore dell’ufficio diocesano per i beni culturali e tra i massimi esperti della storia pratese, sulle pagine di Toscana Oggi Prato in occasione del settimo centenario del furto sacrilego.
Uno sciagurato tentativo di furto della reliquia, che fu clamoroso ed è rimasto vivo nella tradizione popolare fino ai nostri giorni, avvenuto nel 1312, ad opera di Giovanni, detto Musciattino, figlio di ser Landetto, notaio pistoiese, assurse a momento emblematico del sentimento di patriottismo civico. Il 28 luglio 1312, Musciattino scassinò l’altare della Vergine e rubò la reliquia, perché si voleva vendicare di un torto fattogli dal clero della pieve. La sua stravagante intenzione era di portare la Cintola a Firenze, per venderla a quel Comune. Ma la cosa giunse alle orecchie delle autorità pratesi prima che Musciattino potesse fuggire con la reliquia: egli fu subito condannato ad essere trascinato a coda d’asino per le vie davanti alla chiesa, gli furono mozzate le mani ad espiazione del furto commesso, fu trascinato fino al rogo innalzato sul greto del Bisenzio.
Il folle proposito di Musciattino arricchì in modo significativo la «storia» della Cintola e più d’ogni altro fatto consolidò intorno alla reliquia la coscienza civica: il furto fu reato politico, perché perpetrato non tanto «contro e la riverenza di Dio e della beata Vergine Maria» quanto «contro il bene pubblico e in pregiudizio del Comune e del popolo della Terra di Prato». Oltre che punito con la pena capitale, il ladro profanatore, per maggior vergogna, fu infamato col fare effigiare il misfatto sulle pareti della pieve. Per ordine del Comune e per opera del pittore Bettino di Corsino vennero raffigurati in dieci riquadri e il sacrilegio e l’espiazione. All’elemento narrativo, già conosciuto per la tradizione orale, si aggiungeva ora, con ben altra ricchezza di significati, un singolare ciclo iconografico religioso e civico nel contempo; la storia cittadina entrava prepotentemente a far parte della leggenda, portatrice, ora più che mai, di intenso patriottismo. La leggenda era uscita dal mito per vestirsi di dati storici e per fissarsi in una memoria collettiva con nomi, date e fatti inconfutabili.
Il giorno dopo di così sconvolgenti avvenimenti, il Consiglio generale del Comune deliberò di creare un’apposita cappella nella quale la reliquia fosse più sicuramente e più onoratamente – dopo tanto affronto – custodita. Davanti al pericolo di perdere la Cintola, la città risponde unitariamente con una sola reazione, con un solo impulso, e come una famiglia o un popolo. Una tale solidarietà intorno alla reliquia è sorprendente e mostra come essa fosse divenuta in realtà il legame comunitario della città.
Renzo Fantappiè
Le celebrazioni del giorno e l’indulgenza plenaria
La festa della Madonna del Sacro Cingolo viene celebrata mercoledì 28 luglio in duomo. Alle 9,30 messa solenne concelebrata dal Capitolo della cattedrale all’altare maggiore. Al termine omaggio alla Sacra Cintola. Nel pomeriggio, alle 17, recita del rosario, e alle 17,30 messa celebrata nella Cappella della Sacra Cintola dal parroco can. Luciano Pelagatti. In questo giorno, partecipando alle funzioni in programma o almeno visitando devotamente la cattedrale, si può ottenere l’indulgenza plenaria alle consuete condizioni (confessione e comunione sacramentale, recita del Padre nostro e del Credo, preghiera per il S. Padre). L’indulgenza, ovvero la remissione delle pene dovute per i peccati, è stata concessa, nel 1996, in virtù del titolo di Basilica minore attribuito alla cattedrale da Papa Giovanni Paolo II.