Povertà a Prato, 2900 persone hanno chiesto aiuto alla Caritas. Tra i nuovi bisogni l’acquisto di psicofarmaci


Nuove povertà e nuovi bisogni. È quello che ha portato in dote il lockdown, con la chiusura di attività e imprese, alla città di Prato. Partiamo subito con un dato: al centro d’ascolto della Caritas c’è stato un incremento del 27% di persone che hanno chiesto un aiuto per sé e per la propria famiglia. Non solo, i nuovi, coloro che per la prima volta si sono presentati per chiedere un sostegno, sono praticamente raddoppiati rispetto all’anno precedente. E tra le varie richieste sono arrivate anche quelle per l’acquisto di psicofarmaci e di una connessione internet per la didattica a distanza dei figli.

Sono alcuni tra i numeri e gli elementi che emergono dal «Rapporto diocesano sulle povertà in tempo di Covid», un bilancio che analizza e dà conto del grande impegno del centro d’ascolto di via del Seminario presentato questa mattina dal vescovo di Prato Giovanni Nerbini insieme ai co-direttori della Caritas Idalia Venco e Mario Lanza e al curatore dell’indagine Massimiliano Lotti.
Il periodo analizzato va dal 10 aprile 2020 al 10 gennaio 2021. «Abbiamo preso in esame questo lasso di tempo che va da un mese dopo la pubblicazione del primo dpcm, quello che impose la chiusura dell’Italia, fino alla riapertura delle scuole dopo le restrizioni di Natale», spiega il vice direttore della Caritas Massimiliano Lotti. Il perché non sia stato conteggiato il mese di marzo, il primo del lockdown è presto detto: «perché quello, in particolare, è stato un momento molto intenso, non potendo ricevere al pubblico abbiamo attivato nuove linee telefoniche e il centralino è quasi esploso, non siamo riusciti a tenere conto delle tantissime chiamate ricevute».

 

da sinistra: Mario Lanza, Claudia Santini, Massimiliano Lotti e Idalia Venco

 

Hanno detto. «Questi dati fanno emergere situazioni nuove e drammatiche, la crisi economica ha aperto la strada a crisi collaterali, in particolare quella educativa e sociale. Penso anche al problema della solitudine», ha commentato il vescovo Giovanni Nerbini. «Occorre impegnarci seriamente, prima di tutto “politicamente” per la crescita della giustizia sociale, per una equa distribuzione dei beni, perché a tutti vengano offerte pari opportunità e servizi», ha affermato il Presule, che ha aggiunto: «Noi cristiani abbiamo la responsabilità di restituire valore alla parola “speranza”. Nessuno può vivere senza speranza: ogni azione presuppone un’attesa; attendiamo di realizzarci e di poter continuare a vivere. Per fortuna c’è tanta gente che si è attivata e si è detta disponibile a dare una mano mettendo in circolo energie e risorse».
«Nei primi mesi del lockdown abbiamo dovuto per forza di cose cambiare modalità d’ascolto – ha detto Idalia Venco – eravamo abituati a guardare in faccia le persone, abbiamo dovuto metterci a telefono. E le richieste erano davvero tante e diverse. I nostri operatori hanno dovuto “reinventarsi” per assicurare uno stile di cura dedicato alla singolarità di ciascuno. Quando siamo tornati a poter accogliere abbiamo visto la paura e lo smarrimento negli occhi delle persone e noi ci sentiamo chiamati a camminare insieme a chi vive situazioni di difficoltà».
Prima uscita pubblica per il nuovo co-direttore Mario Lanza, il cui incarico è iniziato lo scorso mese di gennaio: «Ho trovato una Caritas totalmente immersa nel periodo, che si è impegnata nel condividere le sofferenze di molti e ha cercato di dare una risposta alle povertà. Ma la pandemia non è finita e ci aspettano momenti difficili, penso alla fine del blocco dei licenziamenti che avrà una ricaduta importantissima nella vita di tante persone. Dobbiamo essere pronti».

 

Il vescovo Giovanni commenta il rapporto sulle povertà: «Diamo una risposta alla solitudine delle persone. È quello che ho chiesto alle parrocchie».

 

Un ritmo di 70-80 telefonate al giorno. A partire dal 9 marzo, il giorno in cui il presidente Giuseppe Conte ha annunciato agli italiani la chiusura totale del Paese, il telefono della Caritas di Prato è diventato bollente. «Abbiamo dovuto per forza di cose chiudere al pubblico ma la nostra presenza è sempre stata garantita, attraverso l’impegno dei nostri operatori che non si sono risparmiati in alcun modo, nonostante la fortissima pressione», dice Lotti. Ogni giorno del mese di marzo al centro d’ascolto chiamano non meno di settanta persone, con punte che arrivano alle ottanta telefonate. La maggior parte chiede un aiuto per l’acquisto di alimenti o medicine, si ha paura ad uscire, qualcuno inizia già a fare i conti con l’inattività dovuta a un lavoro precario stroncato dal Covid. Tanti altri hanno il timore di non riuscire a far fronte alle scadenze delle bollette, dell’affitto. «Il primo aiuto è stato l’ascolto e poi il conforto – dice ancora Massimiliano Lotti – abbiamo rassicurato tante persone dicendo loro che il pagamento delle utenze era stato rinviato per legge e poi ci siamo organizzati per far avere aiuti alimentari a chi non poteva uscire e a chi non poteva permetterseli».

Quasi 2900 persone sostenute. Finito il primo mese di smarrimento collettivo e di riorganizzazione interna per la Caritas, si cominciano a registrare nel modo consueto le chiamate degli utenti. Dal 10 aprile 2020 al 10 gennaio 2021 sono 1175 le persone che hanno telefonato per chiedere aiuto. Di questi, 237 non avevano mai avuto prima di quel momento necessità di rivolgersi alla Caritas. Nello stesso periodo dell’anno precedente, nel 2019, gli accessi – in presenza – furono 927, di cui 127 i nuovi. L’aumento nel 2020 è stato dunque del 26,8% mentre l’incremento dei nuovi addirittura del 92,7%. «Numeri che dimostrano l’eccezionalità di quel particolare momento e del grande impegno al quale è stato chiamato il nostro centro d’ascolto», commenta Idalia Venco, co-direttore della Caritas diocesana.

 

Idalia Venco, co-direttore della Caritas diocesana di Prato: «Abbiamo trovata tanta solitudine e tanta paura. È stato un anno difficile anche per i nostri operatori ma abbiamo voluto infondere speranza. Questa seconda ondata si preannuncia più difficile e più complicata della prima».

 

Chi sono. Gli italiani rappresentano il 46,6% delle persone che hanno chiesto aiuto, il 53,6% sono straniere. Da notare che a partire dal 2012 la percentuale dei nostri connazionali è via via cresciuta, passando dal 30% del campione, fino ad arrivare quasi alla parità con le persone provenienti da altri Paesi. Le nazionalità più rappresentate sono, in ordine, quella marocchina, albanese e nigeriana, poi a seguire, con numeri inferiori, rumena e bengalese. Pochissimi, per non dire praticamente assenti, i cinesi. Rispetto al passato cresce il numero degli uomini. Le donne sono ancora quelle che solitamente si presentano alla Caritas (il 68,6%), ma gli uomini sono incrementati del 44%. Per quanto riguarda l’età possiamo dire che gli italiani sono solitamente over 50 e gli stranieri under 50, anche se questa forbice si sta restringendo.

Oltre mille minori vivono in situazioni di disagio. Tra le tante emergenze contenute nel Rapporto c’è un numero che sta interrogando la Caritas: delle 2900 persone bisognose d’aiuto più di mille (1020 per l’esattezza) sono minori. E di questi il 50% vivono in famiglie senza reddito o con reddito molto precario. «La nostra intenzione è quella di mettere in campo insieme alle parrocchie delle iniziative per il sostegno scolastico e altre esigenze che potrebbero avere i bambini e i ragazzi in difficoltà», afferma Massimiliano Lotti.

Nuovi bisogni nel «paniere» delle famiglie. Il lockdown, ma in generale la pandemia, con il suo carico di incertezza e precarietà ha fatto crescere la richiesta da parte degli utenti Caritas dell’acquisto di psicofarmaci e ticket sanitari e accesso alle cure private per tutti quegli appuntamenti con l’ASL che erano stati rimandati talmente lontano nel tempo che le persone provavano un grande timore per il peggioramento delle proprie condizioni sanitarie, in presenza di patologie importanti. Accanto al tradizionale bisogno di un sostegno al pagamento di bollette, rate di mutuo o di affitto, sono arrivate nuove richieste, come l’aiuto per l’acquisto di libri scolastici e device per poter usufruire della didattica a distanza. Tante famiglie hanno fatto i conti con il digital divide (divario digitale). «Qualcuno ci ha anche chiesto una mano per attivare una connessione internet», aggiunge Massimiliano Lotti.
Il fondo del Buon Samaritano: 164mila euro a 125 famiglie

Oltre 164mila euro distribuiti in meno di un anno a 125 famiglie. È il bilancio attuale del fondo Il Buon Samaritano che la Diocesi di Prato ha promosso per dare un sostegno immediato e concreto a coloro che si sono trovati in difficoltà a causa della crisi economica dovuta alla pandemia. A giugno 2020 il vescovo Giovanni e Idalia Venco hanno presentato questo progetto rivolto in particolare a chi ha dovuto far fronte a una diminuzione o cessazione del reddito perché disoccupato, cassaintegrato per colpa del difficile periodo che stiamo vivendo. Si tratta di persone che mai prima d’ora avevano avuto bisogno di un aiuto, come piccoli commercianti e addetti del settore alberghiero e della ristorazione.
Il fondo è alimentato dalla Diocesi, dalla Caritas e dalla generosità di tanti privati che stanno contribuendo con delle offerte. Chi volesse dare un contributo può fare una donazione a questo iban: IT81Y0503421565000000001079 intestato ad Associazione «Insieme per la Famiglia». Onlus. Per saperne di più: diocesiprato.it.

 

Qui è scaricabile il rapporto Caritas sulle povertà.