5 Marzo 2021

Morte di Giovanni Iannelli, il gip di Alessandria archivia il caso: “Rischi ordinari in quella corsa: il ciclismo per definizione è pericoloso”


I pilastrini del cancello a 144 metri dal traguardo, privi di protezione, su cui Giovanni Iannelli è andato ad impattare, dopo uno scontro con altri ciclisti impegnati nella volata, “non rappresentano un rischio anormale per la sicurezza, rappresentando invece un rischio ordinariamente assunto da tutti coloro che intraprendano tale sport, che – per definizione – è pericoloso, proprio in ragione del fatto che non si svolge su circuiti, ma si snoda su strada, attraverso luoghi altamente antropizzati. Da tale considerazione discende che non v’era in capo agli odierni imputati l’obbligo di schermare tale rischio ordinario”.
Sono parole con cui il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Alessandria Andrea Perelli ha disposto l’archiviazione per Ennio Ferrari, Danilo Massocchi e Francesco Dottore, indagati per la morte di Giovanni Iannelli, il ciclista pratese di 22 anni che perse la vita a seguito dell’incidente di corsa, avvenuto il 5 ottobre 2019 alla gara ciclistica Elite Under 23 – 87° Circuito Molinese, in provincia di Alessandria.

Gli accertamenti dei mesi successivi alla tragedia avevano portato ad iscrivere nel registro degli indagati, per omicidio colposo, il presidente del Gruppo Sportivo Bassa Valle Scrivia (società organizzatrice della gara) Ennio Ferrari, il direttore e vicedirettore della corsa Danilo Massocchi e Francesco Dottore, per i quali il pubblico ministero aveva poi chiesto l’archiviazione, adesso accolta dal gip, che ha respinto l’opposizione della famiglia Iannelli. “Andremo avanti, in tutte le sedi possibili, per rendere giustizia a Giovanni. Chiedevamo almeno un processo per poter chiarire, nel contraddittorio delle parti, i tanti punti oscuri di questa vicenda” – commenta adesso il padre Carlo Iannelli, avvocato e per molti anni presidente della Ciclistica Pratese, che da 17 mesi si batte per conoscere la verità e perchè non accadano mai più incidenti simili, ottenendo tanti attestati di vicinanza e solidarietà da parte di campioni e appassionati di ciclismo.

 

I verdetti della giustizia sportiva

In sede di giustizia sportiva, gli stessi Ferrari, Massocchi e Dottore hanno patteggiato lo scorso ottobre una sanzione ad 8 mesi di inibizione (oltre a 1000 euro di ammenda per la società) dinanzi al Tribunale Federale, che ha accertato le carenze dei dispositivi di sicurezza approntati nella gara in cui Giovanni Iannelli ha perso la vita.
Carenze che erano già state ravvisate un anno fa dalla Corte Sportiva d’Appello, la quale aveva sanzionato con ammenda massima la società sportiva, per il posizionamento delle transenne in numero inferiore rispetto alle prescrizioni. Quel giorno erano state installate transenne per appena 50 metri, prima del traguardo, e per 13 metri dopo il traguardo, rispetto alle prescrizioni regolamentari di almeno 150 metri di protezione (almeno 100 metri prima e almeno 50 metri dopo il traguardo).

La Corte Sportiva, pur premettendo i limiti della propria competenza rispetto al procedimento penale, aveva anche accertato che la zona di arrivo della gara “almeno nel punto adiacente al civico n. 55 di via Roma (che non corrisponde a quello dell’incidente mortale, avvenuto in un tratto di strada precedente – al civico 45, ndr) non potesse dirsi rispondente alle esigenze di sicurezza degli atleti”.
Al civico 55 di via Roma, a poca distanza dall’inizio della transennatura, erano presenti ostacoli – un palo segnaletico di parcheggio ed un pilastro in muratura di sostegno ad un cartello – che interrompevano la banchina in sanpietrini presente a margine della carreggiata e costituivano “un oggettivo pericolo per la sicurezza degli atleti, non essendovi stata predisposta né transennatura, né protezione di altro tipo”.

 

Il tracciato di gara e la dinamica dell’incidente

La gara si è svolta su un tracciato interamente pianeggiante con breve circuito di 6km da ripetere più volte: quasi certo che l’arrivo sarebbe stato in volata, con il traguardo fissato sotto il municipio di Molino dei Torti, e le ultime centinaia di metri da affrontare in paese, lungo via Roma, una strada delimitata dagli edifici, senza marciapiede rialzato e a larghezza incostante, con la presenza di anfratti e ostacoli che determinano repentini restringimenti. Quel giorno, all’ultimo giro, lanciato ad una velocità di circa 60 km orari, Giovanni è stato urtato nella mischia da un altro ciclista impegnato nella volata; si è così sbilanciato verso sinistra ed ha urtato con il pedale e il manubrio il primo dei due pilastri in mattoni di un cancello. Il ciclista è stato sbalzato di sella ed ha picchiato con il capo nel secondo pilatro. Un impatto tremendo che ha provocato la rottura del casco, la perdita di conoscenza e la morte, dopo due giorni di coma.

 

I pilastri senza protezione 

Nelle scorse settimane, i legali della famiglia Iannelli, gli avvocati Gabriele Terranova e Leonardo Pugi, hanno portato all’attenzione della magistratura alessandrina le risultanze della giustizia sportiva, assieme a perizie di e relazioni di parte, fra cui quelle di Raffaele Babini, direttore di corse del Giro d’Italia e di altre prestigiose corse ciclistiche, componente della Commissione Nazionale Direttori di Corsa e Sicurezza Federciclismo, secondo il quale nel caso specifico – stante la presenza di numerosi ostacoli, colonne sporgenti, vie traverse che si pongono sulle traiettorie dei corridori, lanciati ad alta velocità nella presumibile volata – sarebbe stato indispensabile transennare almeno gli ultimi 220 metri per creare una larghezza uniforme alla carreggiata che avrebbe consentito di ridurre in modo sensibile gli sbandamenti dei corridori nelle fasi concitate del transito e dell’arrivo; nonché apporre le protezioni passive (materassini, ecc.) per prevenire e ridurre l’urto contro i punti sporgenti, compreso quello dove Giovanni Iannelli ha impattato.

Di diverso avviso il giudice per le indagini preliminari, secondo il quale le censure dei giudici sportivi non sono riconducibili all’incidente. In particolare, annota il gip Andrea Perelli, la mancata schermatura del manufatto al civico 55 (in parte analogo a quello in cui si è verificato il sinistro, al civico 45, una trentina di metri prima) è rimproverabile “in quanto si pone in contrasto con la presunzione di pericolosità di tutto ciò che si trova al di sotto della distanza di 100 metri dal traguardo”. Sempre secondo il gip, “tale rimprovero è irrilevante nel caso di specie, atteso che la violazione di tale norma cautelare è eziologicamente scollegata dall’evento prodottosi”.

Tranciante il passaggio dell’ordinanza in cui il gip valuta le consulenze tecniche acquisite agli atti e la scelta di modificare il tracciato di gara per gli anni futuri. “Quanto al primo aspetto – scrive il giudice – le consulenze in atti sottolineano la pericolosità del luogo dell’incidente, tale pericolosità è – tuttavia – desunta ex post, alla luce di quanto occorso. La corretta impostazione – tuttavia – richiede di stabilire se tale pericolosità fosse prevedibile ex ante e per le ragioni anzidette si deve concludere che tale prevedibilità manchi, quantomeno a livello del rischio qualificato richiesto, che solo avrebbe imposto agli indagati di attivarsi. Quanto al secondo aspetto, tale scelta va certamente nella direzione – auspicabile di individuare il percorso più sicuro per i ciclisti, così da evitare il ripetersi di eventi tragici quale quello occorso – ma da ciò non può certo desumersi la prevedibilità ex ante del già più volte citato rischio”.

Dario Zona