L’ultima mappatura delle filature cardate del distretto pratese risale al 2013: era necessario quantomeno un aggiornamento “a tavolino” che evidenziasse gli ultimi sviluppi e cercasse di individuare delle tendenze utili anche a previsioni e interventi.
“La ricognizione sulle filature cardate si colloca non a caso nell’ambito delle attività del Gruppo di lavoro della nostra sezione impegnato a tracciare il quadro sull’impatto della crisi e sulle prospettive di riorganizzazione – spiega il presidente della sezione Sistema Moda di Confindustria Toscana Nord Maurizio Sarti -. Quando si parla di anelli fragili del sistema produttivo le filature cardate sono fra i primi pensieri di tutti noi, per il valore identitario che queste hanno ma anche per un motivo molto più concreto: perché la lana riciclata passa necessariamente dalla cardatura. Il superamento della crisi che stiamo vivendo, inserendosi in tendenze all’attenzione per l’ambiente già in atto ancor prima della pandemia, produrrà verosimilmente una più forte rilevanza per i prodotti tessili ecosostenibili. Ugualmente probabile anche una crescente attenzione per le filiere corte, che danno maggiori garanzie dal punto di vista logistico. Tutto questo, pur in un post-pandemia dai contorni ancora tutti da definire, potrebbe aprire per il cardato riciclato e per la relativa filiera produttiva uno scenario di opportunità maggiori che in passato. Per Prato sarebbe una prospettiva positiva.”
La contrazione del comparto sembra in moderato rallentamento, dopo la caduta iniziata negli anni ’90 e divenuta verticale dopo il 2002, ma comunque sta continuando: gli impianti sono passati dai 91 del 2013 ai 69 censiti al 31 dicembre 2020; gli addetti sono attualmente 978. La demografia stessa del settore mette in luce possibili rischi di ulteriori perdite: il 16% dei titolari e il 23% dei lavoratori hanno un’età avanzata. La ricognizione evidenzia anche un dato interessante e positivo relativo all’export di prodotti tessili di lana cardata: se i volumi tendono complessivamente alla diminuzione, non è così per i valori, che – condizionati anche dall’incremento dei prezzi delle materie prime – nell’ultimo decennio sono rimasti stabili o in leggero incremento per i tessuti, mentre per i filati (che hanno tenuto molto di più anche in termini quantitativi) si registra un incremento consistente. Segni, questi, anche di un significativo miglioramento del livello qualitativo, tecnico e stilistico dei prodotti ma presumibilmente – se non già oggi, quantomeno in prospettiva – anche di una più alta reputazione del prodotto cardato riciclato. Il futuro di questa tipologia passa anche e soprattutto da una sua diversa percezione presso i consumatori, con una valorizzazione del suo profilo ecosostenibile che ne consenta anche una più elevata remunerazione per la filiera produttiva. Un altro dato molto significativo riguarda lo status delle imprese di filatura cardata all’interno della filiera: risulta che i due terzi del totale sono imprese conto terzi a tutti gli effetti, mentre il restante terzo è controllato da aziende con diretto contatto con i mercati e lavora per esse del tutto o in parte. Dal rapporto si conferma anche la posizione di testa dell’Italia nel contesto mondiale dell’export di tessuti cardati (43% in valore, 35% in peso; la seconda è la Cina con rispettivamente 12% e 22%-dati Comtrade) e, nell’ambito dell’Italia, del quasi monopolio del distretto pratese.
La ricognizione è stata effettuata dal Centro studi di Confindustria Toscana Nord attingendo a varie fonti fra cui l’Istat e il Centro per l’impiego di Prato; determinante il contributo giunto dalle stesse aziende, in particolare dagli imprenditori Lido Macchioni Montini e Guido Pagliai che rappresentano il comparto nel gruppo Nobilitazione e lavorazioni tessili della sezione Sistema moda di Confindustria Toscana Nord.
“Le difficoltà delle filature cardate sono diventate ormai da decenni una costante in ogni rapporto sulla situazione del distretto pratese – commenta Lido Macchioni Montini -. Chi come me è da molti anni impegnato in questo comparto ha visto cambiamenti radicali e impensabili da tutti i punti di vista, compresa la reputazione del cardato rigenerato, prima quasi disprezzato e oggi sugli scudi come fibra tessile sostenibile per eccellenza. Un’opportunità di mercato importante, questa, che Prato rischia di non riuscire a cogliere pienamente proprio a causa del progressivo impoverimento della capacità produttiva delle filature. Ormai siamo all’osso: difficilmente il sistema potrebbe tollerare una ulteriore importante riduzione; eppure anche in questi giorni si assiste allo smantellamento di impianti. La strada battuta da alcune aziende produttrici, che hanno acquisito il controllo di attività di filatura cardata, merita la massima attenzione. Però bisogna fare presto, molto presto. Un buon 20% delle filature attualmente ancora attive è ad alto rischio di chiusura: la ricognizione che abbiamo effettuato evidenzia casi in cui l’età avanzata dei titolari, la cui unica aspettativa è il pensionamento, si coniuga con altri fattori di debolezza come una ubicazione fuori dalle aree industriali. Intanto siamo alle prese con un altro problema: la perdita di professionalità qualificate. Siamo passati da una situazione in cui le competenze passavano di padre in figlio alla situazione attuale in cui le professionalità faticano a trasmettersi da una generazione all’altra. Prato è un distretto industriale e dobbiamo augurarci che tale rimanga, senza cadere in un processo di deindustrializzazione che rappresenterebbe un sicuro impoverimento.”