Pagati pochissimo, costretti a lavorare 13-14 ore al giorno 7 giorni su 7 in condizioni igieniche precarie. E’ la situazione di sfruttamento di una trentina di operai, per lo più bengalesi e pakistani, portata alla luce da un’indagine condotta dalla squadra mobile. I lavoratori erano impiegati in una confezione a conduzione cinese di via Pieraccioli a Galciana. L’indagine è durata circa un anno e ha preso le mosse da un controllo di routine effettuato nell’ambito del piano lavoro sicuro. I successivi accertamenti hanno permesso di evidenziare uno sfruttamento sistematico. Tre le ordinanze di custodia cautelare emesse nei confronti di altrettanti cinesi, ovvero i due titolari di fatto e l’intestatario. Per i primi due sono stati disposti i domiciliari, per l’intestatario l’obbligo di dimora. L’accusa a loro carico è sfruttamento lavorativo con l’aggravante dello stato di bisogno.
Nei confronti dei titolari è stato anche disposto il sequestro preventivo di 250.000 euro, come somma risarcitoria dei contributi evasi.
Molti degli operai non avevano alcun contratto, altri solo un part time, pur lavorando molte ore. Accanto alla ditta era stata approntata un’abitazione come dormitorio, anche questa in pessime condizioni igieniche. Il lavoro non si era fermato neppure durante il lockdown, quando la confezione avrebbe dovuto invece essere chiusa.
Il procuratore Giuseppe Nicolosi – nel riferirsi agli sfruttati – ha parlato di “umanità dolente”.
Nel frattempo Asl e Unifi hanno stilato un protocollo che prevede percorsi di tutela e assistenza per i lavoratori sfruttati che possa portare verso l’ottenimento del permesso di soggiorno.