«Io e mia mamma siamo in casa da più di quindici giorni, bloccati dal Covid-19, mentre mio babbo è stato ricoverato in terapia intensiva da qualche giorno per una insufficienza respiratoria dovuta ad una polmonite interstiziale: intubato. Non possiamo uscire, non possiamo ricevere o incontrare nessuno, non possiamo distrarci dall’assenza di chi sarebbe dovuto essere il terzo in famiglia. Lanciamo degli sguardi fuori dalla finestra che dà sulla strada e basta. Aspettiamo le 17,30 per avere il bollettino medico della giornata».
È la testimonianza scritta dal giovane regista e autore Jacopo Payar e pubblicata nelle pagine pratesi dell’ultimo numero del settimanale Toscana Oggi. Jacopo è positivo al Covid e si trova in isolamento a casa insieme alla mamma. Purtroppo il babbo è ricoverato in terapia intensiva all’ospedale Santo Stefano. In questa lunga lettera il giovane riflette sul difficile momento che sta vivendo e intende condividere ansie e preoccupazioni per «sperare oltre la sofferenza».
«Se mi fermo a questo, non posso che gridare: «Perché?». Perché a mio babbo, un uomo che si è sempre speso per gli altri e ha sempre messo in secondo piano se stesso? Perché un dolore del genere a mia mamma, una donna che ha vissuto di sacrifici e servizi? Sembrerebbe tutto ingiusto. Poi però c’è la Croce che viene a ricordarti che il Giusto dei Giusti è stato prima umiliato, poi torturato e infine inchiodato ad una croce in mezzo a due ladroni, trattato come un criminale. Questo non serve a ridimensionare il proprio dolore, a farlo diventare un dolore di serie B, ma ad accettare il mistero del dolore rispondendo con un altro mistero: quello della Croce. Un mistero che pur nel dolore, chiede. E chiede una cosa su tutte: la speranza. Spes contra spem. Il dovere di sperare. Ma quando si è nella prova del dolore, per sperare oltre la sofferenza e la morte, c’è bisogno di una rinnovata conversione a nutrimento della propria fede che viene messa duramente alla prova, vacillando, gonfiandosi e sgonfiandosi improvvisamente. Allora mi fermo e mi domando: «Dove sono? Cosa cerco?».
È un po’ paradossale definirla tale, ma la pandemia – questa sofferenza – è un’occasione d’oro per rinnovare i parametri con i quali ho sempre valutato la qualità della mia conduzione di vita. Ed è infatti ora, con il sacrificio che il babbo sta pagando, che voglio cogliere la grande opportunità di una nuova conversione, riordinando priorità e modalità. Non voglio pensare che quando tutto questo sarà finito io ne uscirò come ne sono entrato, sarebbe un fallimento. Io non voglio tornare alla normalità, sarebbe un tornare indietro. Così, impregnando il cuore di un nuovo sguardo verso il dolore, mi accorgo delle decine e decine di messaggi di affetto di parenti, amici, conoscenti o semplici collaboratori che chiedono aggiornamenti sanitari, che si offrono per un servizio o una telefonata d’incoraggiamento, che si preoccupano delle nostre condizioni di salute. Questa situazione ha innescato una spirale d’amore attorno alla nostra famiglia che dimostra quanto chi semina amore raccoglie amore. Chi ha ricevuto tanto dal mio babbo o dalla mia mamma, cerca di restituirlo come può, al massimo delle possibilità di questo momento. E non c’è gioia più grande del sentire questo affetto in un momento critico come questo. Un’energia che ci permette di rimanere vigili nella preghiera e nel pensiero costante verso quell’uomo che adesso sta pagando un prezzo altissimo. Fa male sentirsi in salute mentre dall’altra parte c’è una delle persone più importanti della tua vita che sta lì, disteso e intubato. Senza battersi con niente, senza lottare. La retorica di guerra nella malattia è una distorsione della realtà. Nessuna persona combatte secondo la propria volontà. Nessun paziente che non ce la fa, perde, così come nessuno di quella che ce la fa, vince. La malattia non è fatta di perdenti e vincitori, ma è fatta di dolore, speranza, dubbio, fede, paura, speranza: di sentimenti. E allora cerchiamo ancora quei sentimenti forti che ci permettono di affrontare la giornata, quella resilienza che altro non è che la fede oltre il dolore, oltre l’incertezza, oltre il momento senza spiegazioni. Sperando».
Jacopo Payar
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