La Toscana è nelle ultime posizioni fra le regioni italiane come capacità di smaltimento e recupero energetico dei rifiuti; gli impianti esistenti nel territorio regionale sono quasi esclusivamente discariche, anch’esse largamente insufficienti; entro il 2020 o poco oltre si esaurirà la capienza delle discariche toscane.
È il quadro, certificato anche da recenti studi dell’Università di Firenze, tracciato da Confindustria Toscana Nord, che torna a denunciare difficoltà operative e aggravi di costi da parte delle imprese manifatturiere per lo smaltimento dei rifiuti.
“Il ricorso allo smaltimento in impianti esteri o comunque lontani dal territorio regionale – segnalano gli industriali – è sempre più frequente, con importanti impatti ambientali dovuti ai trasporti, con costi sempre più elevati e con conseguente grave penalizzazione delle aziende, alle prese con concorrenti internazionali che ignorano problemi del genere. Le elezioni regionali che si stanno avvicinando hanno nei temi ambientali uno dei riferimenti più importanti. Parallelamente, a livello nazionale si riscontra una stasi sul piano normativo solo in parte giustificabile con le difficoltà dettate dalla pandemia, dato che anche in precedenza si marciava senza la debita determinazione”.
Confindustria Toscana Nord chiede da anni normative che favoriscano il riutilizzo degli scarti di lavorazione e quindi la riduzione del volume dei rifiuti, passaggio decisivo in direzione di un’economia circolare che non sia tale soltanto a parole. “Il binario – secondo Confindustria – è doppio: riutilizzare di più gli scarti, ridurre quindi i rifiuti ma prendere anche atto che questi ultimi continueranno ad esistere e ad esigere impianti per il loro smaltimento. Impianti di smaltimento che – nonostante errate e incomprensibili affermazioni diverse – non sono affatto in contrapposizione con i principi dell’economia circolare, ma viceversa ne sono parte integrante: senza smaltimento non c’è recupero sul piano energetico e il ciclo non si chiude”. Gli industriali invocano dunque normative adeguate per favorire il recupero di materia, ma anche impianti per consentire il recupero di energia da quella parte della materia che non è riutilizzabile.
“Niente di tutto ciò sta accadendo – scrive Confindustria Toscana Nord – Rimangono allo stato embrionale le norme nazionali sui sottoprodotti e sull’end of waste, vale a dire le regole per far sì che uno scarto di lavorazione o un prodotto già utilizzato non siano classificati come rifiuti ma vengano reimmessi nel ciclo di produzione; quanto agli impianti di smaltimento, all’orizzonte non se ne vedono. Eppure servirebbero, e molto, anche per i rifiuti urbani: impianti pubblico-privati sarebbero una buona soluzione che, integrata da impianti unicamente privati, potrebbe portare finalmente la Toscana a livello di civiltà nella gestione di questi problemi. Il dibattito pubblico appare viziato da approcci ideologici e populistici, assecondando timori della popolazione che, quando si tratti di progetti seri e correttamente impostati, non hanno ragion d’esistere”.
Sul tema si registrano crescenti preoccupazioni e proteste da parte delle imprese. Settori come la moda, il cartario, l’edilizia e il lapideo – fra le più interessate al problema – fanno sentire la loro voce. Gli scarti dei quattro settori nell’area Lucca-Pistoia-Prato ammontano a 50.000 tonnellate per il tessile-abbigliamento; 200.000 tonnellate per il cartario; 1,5 milioni di tonnellate per gli scarti edili (demolizioni e terre e rocce da scavo; il dato è stimato in riferimento ai soli materiali che giungono negli impianti di recupero); 40.000 tonnellate per il lapideo (il resi-duo dell’estrazione e lavorazione delle pietre).
“Il tessile-moda produce scarti ‘leggeri’ ma di volume consistente; parliamo di residui delle fasi tessili di pettinatura, filatura, tessitura, rifinizione a cui si aggiungono i ritagli di confezione – spiega Francesco Marini, vicepresidente di Confindustria Toscana Nord ed imprenditore tessile -. Dal punto di vista tecnico una parte consistente di questi possono essere riutilizzati: non solo la lana, emblema del riciclo pratese, ma anche altre fibre. Tuttavia rimangono scogli normativi che rendono difficile e oneroso sottrarre alla classificazione come rifiuti sia gli scarti di lavorazione sia il cosiddetto post-consumo, cioè gli abiti usati. Qualche passo avanti per favorire l’utilizzo dei sottoprodotti si è fatto col ‘Patto per il tessile’ sottoscritto fra categorie economiche pratesi e Regione Toscana, Comune di Prato e Alia lo scorso gennaio, ma ancora siamo ben lontani dall’obiettivo. Siamo nel pieno paradosso: per l’economia circolare nella moda ci sono competenze e interesse delle imprese ma sono le leggi a remare contro. E i rifiuti tessili, che comunque anche con le migliori prassi di recupero rimarrebbero in quantità significati-va, dove devono andare? Le società specializzate, data l’estrema scarsità di siti toscani in grado di ricevere rifiuti tessili, li portano in altre regioni o all’estero, con forti aggravi di costi. Una situazione non più sostenibile. I decisori pubblici nazionali e regionali non possono più sottrarsi all’assunzione di provvedimenti che risolvano questi problemi.”
“Gli scarti delle attività edili, terre e rocce da scavo e materiali provenienti da costruzioni e demolizioni, sono materiali inerti che possono andare in discarica o essere recuperati dopo passaggi di selezione e frantumazione che ne fanno materie prime secondarie – interviene Alessandro Cafissi, presidente di ANCE Toscana Nord-sezione Edili di Confindustria Toscana Nord -. In questo ambito la situazione è molto diversa a seconda dei territori. La situazione peggiore è in provincia di Prato, dove uno spazio dedicato agli scarti dell’edilizia non esiste, imponendo alle imprese edili pratesi onerosi trasferimenti dei loro scarti nelle province vicine. Un’area è stata individuata: confidiamo che questa carenza venga colmata quanto prima. Ma comunque il problema degli scarti edili è generalizzato: anche dove gli impianti ci sono rimane aperta la questione del loro riutilizzo. Riutilizzare questi materiali è non solo compatibile con una gestione corretta dell’ambiente, ma addirittura potrebbe consentire di realizzare importanti riqualificazioni, per esempio andando a colmare le cavità di attività estrattive dismesse o altre situazioni di erosione del suolo. Un altro uso possibile è per basamenti di opere edili di varia natura, ma sappiamo bene quale situazione di stasi esista in questo ambito. Per-ché questo non avviene? Perché manca un piano complessivo, che da anni chiediamo alla Regione Toscana, per orientare questi interventi, e comunque per inerzia delle amministrazioni.”