Focolai Covid nelle Rsa, Rossi: “Hanno fallito i privati”. La replica di Uneba: “Aspettiamo ancora i tamponi 2 mesi dopo i primi casi”


“Considerazioni strumentali e tentativi di scaricabarile”. Così il presidente della Cooperativa Sarah e responsabile provinciale di Uneba Vladimiro D’Agostino risponde al governatore Enrico Rossi, che ieri aveva imputato alle Rsa private la responsabilità dei focolai di coronavirus fra gli ospiti e gli operatori delle strutture. “Abbiamo fatto il possibile per proteggere le Rsa e i loro ospiti – ha scritto Rossi su facebook -. A fallire è stato soprattutto il privato e gli istituti, scollegati dal servizio sanitario pubblico, che sugli aspetti sanitari si sono dimostrati troppe volte sostanzialmente inadeguati”. Il presidente della Regione aveva poi detto che la sanità pubblica “deve riprendere a gestire direttamente una parte importante delle Rsa”.“Sono dispiaciuto per queste affermazioni perché collaboriamo ampliamente e proficuamente con il servizio pubblico” premette D’Agostino, responsabile provinciale di Uneba (realtà che raggruppa 12 Rsa private convenzionate a Prato e provincia) che dà un’altra lettura di quanto accaduto. “I problemi che abbiamo riscontrato nelle strutture della provincia di Prato sono dovuti alle mancanze della Regione nel fare i tamponi, nel fornire i dispositivi di protezione individuale, nel dare direttive e nel fare i controlli da parte dell’ente pubblico. Tutti aspetti nei quali abbiamo riscontrato gravi ritardi”.

Un solo esempio legato ai tamponi: una delle Rsa più grandi di Prato, quella di Iolo gestita dalla cooperativa Sarah, sta ancora aspettando di poter eseguire i tamponi ai 76 anziani ospiti e agli operatori. “La Asl ci ha assicurato che li potremo fare soltanto venerdi 24 aprile, due mesi dopo il primo caso di coronavirus in Toscana. Finora abbiamo potuto fare il tampone soltanto a due ospiti sospetti, che per fortuna sono risultati negativi. Avevamo anche prenotato dei test privatamente, ma poi la Regione tramite ordinanza, li ha proibiti. Così siamo costretti ad aspettare la Asl, e non capiamo i criteri di somministrazione: i tamponi sono stati fatti in alcune strutture dove non c’erano casi sospetti, mentre non sono stati eseguiti in altre Rsa con casi sospetti di coronavirus”.
Tamponi, che, come sottolinea D’Agostino, dovrebbero essere oltre che tempestivi, ripetuti nel tempo per monitorare sul nascere eventuali nuovi casi di coronavirus in ambienti delicati, dove è alta la presenza di soggetti a rischio.

Ai ritardi nelle forniture dei tamponi, si sono aggiunti i ritardi nell’approvvigionamento di mascherine, giunte alle Rsa dalla Regione soltanto a partire dalla fine di marzo. “Per fortuna le strutture si erano mosse in anticipo, così come per la chiusura degli accessi ai visitatori esterni e per altri aspetti organizzativi, che la Regione ha disciplinato con varie ordinanze successive. Le mascherine chirurgiche che ci sono state fornite sono inoltre di bassa qualità, tanto che i nostri operatori non le vogliono indossare e preferiscono portare le nostre”.

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