19 Luglio 2019

Gavigno, quando la storia si scrive tutti insieme. Domenica festa e pubblicazione speciale per celebrare il 50° della Pro loco FOTO


Quella di Gavigno è una comunità abituata a fare squadra e a rimboccarsi le maniche: alla fine degli anni Sessanta ha realizzato la strada per arrivare al paese, poi ha messo mano all’illuminazione del borgo, utilizzando i vecchi pali della Sip. I volontari di solito lavoravano il sabato e la domenica. Vicende emblematiche che, insieme a personaggi e storie inedite, vengono raccontate nel volume Gavigno e la sua Pro Loco: una comunità nel cuore dell’Appennino, curato da Luisa Ciardi della Fondazione CDSE (Centro di documentazione storico etnografica). La pubblicazione, che nasce dalla stretta collaborazione tra Comune, Pro loco e Cdse, per la prima volta porta alla luce la storia di questa coesa comunità dell’Appennino più appartato ma non per questo meno affascinante. Nasce con l’intento di celebrare i cinquant’anni della locale Pro loco e verrà presentata domenica 21 luglio, alle 15.30 alla Baita di Gavigno.

Famiglia contadina nei prati di Gavigno Foto Pro Loco Gavigno

Dopo i saluti di Maila Grazzini, vicesindaco di Cantagallo e Mariella Bolognesi, presidente della pro loco, interverranno Alessia Cecconi, direttrice del CDSE e Luisa Ciardi, autrice della ricerca. L’iniziativa sarà preceduta dal pranzo sociale di Mezza Estate (per prenotazioni 366 8671012 oppure 3335 8067999).
“Vivere in Gavigno era un po’ come fare parte di una tribù”, racconta Giorgio Pieraccini, uno dei testimoni intervistati da Luisa Ciardi. La studiosa del CDSE, insieme tutti i “gavigni”, ha condotto un’operazione di memoria partecipata, dove la storia personale si intreccia con quella della comunità. Il volume è ricco d’immagini: ci sono un centinaio di foto inedite.

La famiglia Marchi ritratta al ponte della centrale, anni ’20

La lunga storia della comunità del borgo e l’impegno della pro loco diventa un appassionante racconto collettivo: dalla presenza dei Longobardi e dei Cadolingi all’affermazione dei Bardi, dalle emigrazioni stagionali dell’Ottocento (in Maremma, Corsica e Calabria) al drammatico passaggio del fronte nell’agosto ‘44, dallo spopolamento alla trasformazione del borgo in curato luogo di ritrovo estivo. Fondamentale, a partire dal 1969, è l’azione dei soci della pro loco che, con passione, si sono prodigati per realizzare strade, illuminazione pubblica, il campo da calcio e i giochi per i bambini e ancora oggi organizzano e seguono diverse attività. “La pro loco di Gavigno, con i suoi soci, costituisce un grande esempio di cooperazione, di prossimità identitaria e di accoglienza”, sottolinea Maila Grazzini. “Questo libro avrà soprattutto il compito di tenere vivi i ricordi del passato per avere un presente e un futuro migliori”, mette in evidenza Mariella Bolognesi.
La bottega di Florindo – E veniamo al racconto della vita quotidiana a Gavigno così come la raccontano i testimoni ancora in vita. Negli anni Trenta nel borgo c’era un’unica bottega, gestita da un personaggio particolare: Florindo Pieraccini. L’esercizio commerciale era il fulcro e il centro propulsivo della vita economica e ricreativa del paese: in bottega si andava per comprare minestra, sigarette o vino sfuso, ma anche per fare il fiasco, giocare a carte e, più tardi, ascoltare la radio. Da Florindo ci si recava anche per cercare di raggranellare qualche soldo: era sempre a lui che gli abitanti di Gavigno vendevano principalmente i loro prodotti, Grazie ai suoi necessari rapporti con i commercianti e i fornitori della vallata, Florindo riusciva a smistare i prodotti della montagna verso San Quirico e Mercatale.

La sistemazione della piazza della chiesa 2011 Foto Pro Loco Gavigno

Finalmente la Chiesa – Anche la chiesa fu una conquista per la gente di Gavigno che, fino agli anni Trenta, faceva parte della parrocchia di San Pietro a Cavarzano. Gli abitanti del borgo riuscirono a dare concretezza al loro sogno l’11 settembre 1932, quando venne finalmente inaugurata la chiesa di Sant’Agostino con il concorso di tutta la comunità: «Domenico Pieraccini, detto Mengone, donò il terreno e tutti gli altri lavorarono per la costruzione della chiesa. La pietra serena viene dagli scalpellini di Montepiano, mentre la rena per il cemento si sono arrangiati a cercarla per la Carigiola», racconta Romano Pieracccini, un altro dei testimoni del volume. Il progetto venne curato dall’ architetto Ugo Fioravanti, fiorentino, che veniva in vacanza dal 1925 nella località montana e si offrì volentieri di fare il progetto “.
Nella memoria collettiva il ricordo più drammatico è quello dei giorni che vanno dalla fine di agosto ai primi di settembre del 1944. Luisa Ciardi ha raccolto le testimonianze di molti che allora erano bambini: i militari tedeschi stabilirono una postazione sul borgo e costrinsero la popolazione allo sfollamento e alla marcia forzata verso Montepiano e Castiglione dei Pepoli. Tutti serbano nella memoria la vicenda dolorosa di Maria Storai: la donna, in stato di gravidanza avanzata, sull’impervia mulattiera per Cavarzano, non riuscì ad andare avanti e si fermò insieme al figlio piccolo, Giorgio. Riprese poi le forze tornò a Gavigno, perdendo il piccolo che portava in grembo.

Lido Pieraccini sul trattore a cingoli, anni ’70 Foto Pro Loco Gavigno

Di memoria in memoria. La villa di Rotì, antico possedimento medievale dei monaci vallombrosani, usato come convento prima e come spedale poi, è uno dei luoghi a cui il volume dedica attenzione specifica. L’immobile, con il podere, alla fine dell’Ottocento era passato ai Guicciardini che lo trasformarono in una splendida residenza di campagna dove, alla vigilia della Grande Guerra, si fecero addirittura installare la linea telefonica. ”La frequentazione di Rotì da parte dei Guicciardini – Vaj, coincise con il momento di massima espansione e vitalità ella comunità di Gavigno – racconta Luisa Ciardi –  nel periodo a cavallo tra le due guerre, infatti, il borgo arrivò a contare una ventina di famiglie, per un totale di circa duecento anime”.
Gavigno, tra l’altro, è stato il paese dei pionieri dell’elettricità in Val di Bisenzio. Negli anni Venti, quando l’elettricità era prerogativa di pochi e il sogno di molti, le case degli abitanti del borgo erano illuminate con la luce elettrica. Fra il 1922 e il 1923, su iniziativa di un certo Santini di Firenze – che aveva collocato una dinamo a una macina del mulino di Genesio – era stata costruita una piccola centralina idroelettrica. Così si distribuiva la corrente nelle frazioni vicine e fino a Cavarzano.