Domenica 17 aprile i cittadini sono chiamati a esprimersi per il referendum sulle trivelle. Si vota dalle 7 alle 23. Verrà chiesto se abrogare o meno la norma che permetterà di estendere le concessioni per l’estrazione di gas o petrolio da piattaforme entro 12 miglia dalla costa. In caso di vittoria del “sì”, lo sfruttamento degli impianti esistenti cesserà allo scadere delle attuali concessioni; in caso di vittoria del “no”, o di mancato raggiungimento del quorum, le estrazioni potranno continuare fino all’esaurimento dei giacimenti. Per fare chiarezza sul tema, al Circolo ARCI di Mercatale di Vernio si è tenuto un incontro organizzato congiuntamente dal Partito Democratico e dal Comitato Stop Trivelle, dove sono state esposte le ragioni del “sì” e quelle del “no”. Sostenitrice dell’abrogazione della norma, e quindi del non rinnovo delle concessioni alla scadenza, è Maria Rita Cecchini di Legambiente: “L’ambiente è un bene di tutti, quindi anche delle generazioni future. Credo che siano fondamentali la tutela del territorio e quella della salute dei cittadini. Abbiamo idea che la questione energia sia da affrontare in maniera diversa, che si debba pensare a qualcosa che 10 anni fa nemmeno era immaginabile: è possibile farlo con le fonti rinnovabili, anziché tornare alle fossili. Le perdite per il lavoro? C’è già crisi petrolifera perché i prezzi sono calati tantissimo, creando ripercussioni anche su altri mercati, indipendentemente da questo referendum. Non ci saranno quindi queste perdite significative”. A favore, invece, dell’attuale norma è Simone Barni, della segreteria provinciale PD: “No al referendum o astensione. Perché il referendum è sbagliato nel merito e nel metodo. L’esito sarà solo quello di aumentare la dipendenza dai paesi arabi o dalla Russia. Investire in energie sostenibili è doveroso, ma richiede programmazione e una strategia che non si improvvisa e non può essere fatta con l’accetta di un “sì” o di un “no”. Questo Governo sta investendo in rinnovabili e ha già raggiunto l’obiettivo prefissato dall’Unione Europea entro il 2020. Inoltre questo referendum mi sembra sia diventato più uno strumento di critica verso Renzi che una consultazione sul tema in oggetto. Sbagliato invitare all’astensione? Se partecipare al referendum fosse stato un dovere i nostri padri costituzionali non avrebbero previsto il quorum. Il buon cittadino è quello che fa una scelta consapevole, anche quella di non votare”.
Proprio intorno alla questione del quorum si è acceso un vivace dibattito: molti presenti hanno criticato aspramente l’invito all’astensione, valutandolo come un venir meno ai propri doveri e una rinuncia ai diritti conquistati. Sono stati poi tanti gli spunti e i quesiti che il pubblico ha sollevato nel corso del dibattito: tra questi, la preoccupazione per l’inquinamento di mari e coltivazioni – con danni alla salute a all’economia – e per il turismo; il fatto che i giacimenti soddisferebbero solo una piccola parte del fabbisogno energetico del Paese; c’è chi sottolinea un ritorno economico giudicato non così elevato, viste le basse royalties (10% per il gas e 7% per il petrolio in mare, con diverse esenzioni) e chi sostiene che l’energia, in un Paese con scarse materie prime ma alta tecnologia, debba derivare dal rinnovabile e non dal fossile. Ma emerge anche il timore derivante da un eventuale incremento delle importanzioni dall’estero e l’osservazione che i consumi, in ogni caso, non calerebbero. Diffusa, infine, è la protesta per il mancato accorpamento del referendum alle elezioni amministrative, a causa dei costi che ciò comporta: stimati 300 milioni di euro.
Chiara Gori