Durante la visita a Prato, a due settimane dalle elezioni regionali, il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha commentato il via libera del Consiglio dei Ministri al decreto legge sulle pensioni, sui metodi dei rimborsi a seguito della sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato il blocco dell’indicizzazione voluto dal Governo Monti. A partire da agosto sarà erogato un rimborso una tantum, tra i 278 e i 750 euro, a 3.7 milioni di persone. Poletti spiega che il dilazionamento non sarebbe stato possibile ripresentandosi comunque il problema dell’infrazione e valuta la scelta coerente con i requisiti della Corte: “Credo che la nostra sia una scelta corretta, assolutamente coerente, da una parte, con i requisiti della consulta, dall’altra con la tenuta della finanza. Abbiamo evitato di andare a caricare ulteriormente le future generazioni. Qualcuno pensava che saremmo andati dopo le elezioni, ma non c’è da fare i furbi, c’è solo da dire agli italiani quale è la condizione, cosa abbiamo deciso di fare, questo abbiamo fatto. Rischio di una valanga di nuovi ricorsi? E’ legittimo che ogni cittadino che reputi di averne titolo presenti il proprio ricorso. Dal nostro punto di vista la scelta è coerente, abbiamo scelto una strada di progressività, di equità e compatibile con un altro principio costituzionale che è quello del pareggio del bilancio”. A chi gli fa notare che il nome “bonus Poletti” sembra suggerire un regalo, anziché un rimborso dovuto, il Ministro risponde: “Non ho chiesto io di chiamarlo così, me lo sono ritrovato. No, nessun regalo”.
Nel proseguimento dell’incontro presso l’auditorium della sede della Provincia, si è parlato di lavoro ed esposto quanto fatto sin qui dal Partito Democratico. Punto chiave è sicuramente il Jobs Act, con l’introduzione del contratto a tutele crescenti e la necessità del passaggio dalle politiche passive alle politiche attive. Per quanto riguarda la nuova forma contrattuale, spiega: “Siamo convinti che il modo normale di assunzione debba tornare ad essere quello indeterminato, in un Paese che su 100 avviamenti presentava 85 casi di lavoro precario. Dobbiamo riprodurre le condizioni per cui la precarietà non sia la situazione normale di un lavoratore. Abbiamo fatto questa scelta attraverso il finanziamento dentro la legge di stabilità, abbiamo fatto la stessa operazione riducendo la base imponibile dell’IRAP del costo del lavoro a tempo indeterminato e abbiamo fatto il sostegno alla decontribuzione. Perché un datore di lavoro ora dovrebbe scegliere il contratto a tempo indeterminato anziché a tempo determinato? Da una parte ha una normativa più flessibile sia in entrata che in uscita, ha un vantaggio economico, in più abbiamo ridotto le forme precarie possibili. Non è ammissibile fare un contratto a progetto se non sta dentro a un accordo contrattuale che lo preveda. Teniamo conto che in Italia avevamo una spettacolare situazione prima: costavano meno i contratti precari dei contratti a tempo indeterminato. E’ normale che fossero diventati i contratti consueti. Ora i contratti precari costeranno più dei contratti stabili. Questo risponde a un’altra esigenza: abbiamo bisogno di avere più reddito, per avere più consumi, o non ci sarà mai una ripresa dell’economia. Vogliamo salari più alti e contratti stabili”. Sul rischio di un effetto altalena, a causa di tutele crescenti e sgravi, con iniziali assunzioni seguite da numerosi licenziamenti nell’arco dei primi tre anni, commenta così: “Se una persona ha assunto un lavoratore perché ne ha bisogno, perché dopo tre anni dovrebbe licenziarlo? È intelligente uno che ha preso un lavoratore, gli ha insegnato il mestiere e dopo tre anni lo licenzia per un altro che non sa niente e costa di più? Gli imprenditori certe cose non le fanno se non ci guadagnano o non hanno dei vantaggi di qualche tipo hanno dei vantaggi; siccome abbiamo stabilito che i contratti a tempo indeterminato costeranno meno dei precari, è impensabile. È un non senso logico e solitamente un non senso logico non si produce”. Altro punto importante della riforma, come accennato, è il passaggio dalle politiche passive alle politiche attive, con, un ripensamento circa il sistema dei sussidi in favore di maggiori opportunità d’impiego, spiega citando come esempio virtuoso il FIL pratese e la concertazione dei soggetti pubblici e privati.
Sul tema del lavoro interviene anche il Sindaco Matteo Biffoni, illustrando la situazione occupazionale a Prato, dove paiono vedersi i primi segnali positivi: “Finalmente il primo trimestre del 2015 ha dato un risultato positivo tra avviamenti e cessazioni, era dal 2009 che non accadeva. E già il 2014, pur essendo negativo, ha visto una perdita più contenuta. Ovviamente è presto per cantare vittoria, però i segnali stanno arrivando. Vanno ringraziati coloro che si stanno dando da fare per tenere alto il sistema occupazionale a Prato. Ovviamente servono leggi, servono norme. Come Amministrazione siamo impegnati affinché ci siano le condizioni migliori possibili per creare posti di lavoro e favorire le nostre imprese. Stiamo, ad esempio, ricominciando a lavorare sul tema dell’energia e potrebbe essere un ulteriore volano di sviluppo per le nostre imprese. Qualcosa si sta muovendo, speriamo che continui nel corso del tempo”.
Chiara Gori