29 Aprile 2015

Progetto lavoro sicuro, la testimonianza di uno degli ispettori: “Dovrebbe essere trasformato in piano ordinario”


Il progetto lavoro sicuro della Regione visto dalla parte di chi lo vive tutti i giorni. Sulla pagina “Enrico Rossi presidente” si legge la testimonianza di Erasmo, un giovane di 28 anni assunto tra i 74 ispettori dell’Asl che effettuano controlli periodici nei capannoni cinesi. Di seguito il testo della lettera.

Mi chiamo Erasmo, ho 28 anni, vengo da Partinico, un paese in provincia di Palermo. Mi sono laureato nel novembre del 2007 ed ho lavorato per circa 4 e mezzo all’interno dell’Asl di Palermo al Dipartimento di Prevenzione.

Nel giugno del 2014 ho iniziato la mia avventura all’ASL 4 di Prato rientrando nell’assunzione dei 74 Tecnici della Prevenzione dell’area vasta centro e nel distretto di Prato, dove la presenza dell’etnia cinese risulta maggiormente radicata e in continua espansione da oltre 10-15 anni. Dopo circa tre mesi di formazione iniziale e conoscenza del territorio, affiancandoci ai tecnici della Prevenzione già in servizio da diversi anni, è iniziata a tutti gli effetti la nostra avventura professionale toscana.

L’USL 4 di Prato prevede una programmazione che comporta l’uscita giornaliera di 5 squadre ispettive che, con l’ausilio della Polizia Municipale, effettuano controlli nei capannoni di ditte iscritte nel registro imprese presso la Camera di Commercio.

L’accesso ai capannoni non è semplice. Una volta entrati ci troviamo di fronte ad un’istantanea che è un colpo allo stomaco: con la presenza del fenomeno dello sfruttamento fino ai limiti della schiavitù. Dubito che i dipendenti di queste ditte quotidianamente vedano la luce del sole.

All’interno dei capannoni la promiscuità tra ambienti di vita e di lavoro è all’ordine del giorno. Coesistono laboratori tessili, refettori, cucine e dormitori in cartongesso o compensato, tutti in un unico ambiente; giacigli creati nei posti più assurdi: sottotetti, scantinati e soppalchi; la maggior parte privi di aerazione ed illuminazione naturale con presenza di muffa e umidità e scarse condizioni igieniche per non parlare dell’assenza quasi totale della pulizia dei luoghi con la presenza di materiale non pertinente alle lavorazioni con cospicui accumuli polverosi.

Nella maggior parte dei casi la scoperta di questi ambienti impone il sequestro, ed è a questo punto che il nostro lato umano, più di quello professionale, esce fuori. Si riscontra non solo la presenza di lavoratori ma di tutta la loro famiglia con bambini al seguito che si trovano a non avere più un tetto sotto cui dormire. Posso affermare che a tutti gli effetti ci troviamo davanti ad un’emergenza sociale da non trascurare.

In questi primi mesi avendo controllato circa un quarto degli obiettivi previsti nel triennio, è emerso che in una buona parte delle attività ispezionate la conoscenza della sicurezza nei luoghi di lavoro fosse del tutto assente, cosa che ad oggi anche se in minima parte si sta riuscendo a far capire e che denota il fatto che ancora tanto ci vuole per riuscire a raggiungere un livello accettabile di conoscenza della materia e ancor di più per creare una “cultura della sicurezza”.

Ad oggi i verbali derivanti dall’azione di noi tecnici della prevenzione a seguito dell’attuazione del piano straordinario per Prato “producono” 160.000 euro medi mensili per un ammontare presunto nel triennio di 5.760.000 euro, pari al 85 % della spesa pubblica preventivata ed impegnata. Significa che questo progetto alla fine del triennio è come se si fosse autofinanziato. Il percorso che è stato avviato non può e non deve essere vanificato, ripartendo dalla situazione iniziale compromettendo ed annullando quanto, con tanto lavoro è stato ottenuto; a mio avviso dovrebbe essere “trasformato” da piano straordinario, a piano ordinario; solo cosi si arriverà al raggiungimento dell’obiettivo voluto. Come ampiamente dimostrato dai risultati già raggiunti da questo progetto-pilota, sono convinto che ancora molto si possa fare; dato che una prima ed unica visita ispettiva non può e non deve essere la soluzione a tutti i problemi riscontrati e prescritti sino ad oggi. Richiamando le parole di Enrico Rossi, sono convinto che questo progetto possa essere d’esempio per tutte le altre realtà nazionali. Il nostro obiettivo ultimo non è la repressione, ma la prevenzione ed è il risultato che vorremmo ottenere alla fine del triennio.