La stima, c’è da scommetterci, è di quelle che faranno discutere. Eppure se a Prato non fosse presente la comunità cinese, il PIL della provincia sarebbe più basso del 22%. A dirlo è il secondo rapporto IRPET sull’imprenditoria cinese, uno studio che indaga la dimensione economica e le relazioni locali e transnazionali delle aziende cinesi presenti nel distretto.
Gli orientali hanno quindi un peso specifico abbastanza significativo in termini di Prodotto interno lordo pratese: basti pensare che il solo contributo al PIL provinciale dato dalla realtà cinese ammonta a 705 milioni di euro, circa l’11 per cento del totale. Gli investimenti degli occhi a mandorla valgono poi l’8% (125 milioni di euro), le esportazioni estere incidono per il 33%, con un valore pari a 767 milioni di euro, mentre i consumi delle famiglie cinesi raggiungono i 172 milioni di euro. Contributi, insomma, tuttaltro che marginali che richiamano però alla mente i numeri dell’economia sommersa, non indagati dalla ricerca Irpet.
“Questa è la generazione di aspetti positivi – ha commentato il presidente della Provincia Matteo Biffoni -: rispetti le regole, stai a quelle che sono le nostre leggi, crei ricchezza per tutti quanti. Per questo noi stiamo continuando a intensificare i controlli e gli accertamenti su quelle che sono le aziende che decidono di non stare in regola, perché non sono utili, non stanno dentro a questa ricerca, non ci servono. Anzi ci drenano solamente risorse”.
Il dossier ha poi permesso di fare luce sull’organizzazione orientale: se da una parte sembrano intensificarsi i rapporti professionali e gli scambi di competenze con la comunità locale, dall’altra crescono i legami fra i cinesi di Prato e quelli di Wenzhou. Non più solo legami familiari, ma vere e proprie reti di affari internazionali.
“Noi possiamo crescere come distretto pratese se investiamo in competitività, in qualità e in capacità di penetrazione sui mercati – ha ribadito l’assessore regionale al Lavoro Gianfranco Simoncini -. Le imprese cinesi rappresentano un ponte fondamentale per quello che, in questo moemnto, è il più grande mercato da conquistare, che è appunto quello cinese. Ma questo potrà avvenire soltanto se c’è una capacità di essere in regola, di essere all’altezza delle norme del nostro Paese”.
Favorire l’integrazione tra le due comunità, quella italiana e quella cinese: pare essere questo l’unico percorso possibile per garantire un futuro al distretto. Un processo che dovrà passare, secondo Irpet, anche dalla rigenerazione delle aree industriali e soprattutto da un nuovo modo di intendere l’imprenditoria cinese. Un sistema più etico, in cui la compressione del costo del lavoro non rappresenti l’unico fattore competitivo.
Giulia Ghizzani
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