Dieci anni e otto mesi di reclusione per Lin You Lan. Otto anni per Lin Youli e Hu Xiaoping. Sono le richieste del pubblico ministero Lorenzo Gestri, nel processo ai tre cittadini cinesi imputati per la morte di sette connazionali nel rogo di via Toscana. Alla sbarra coloro che sono ritenuti i gestori di fatto dell’azienda Teresa Moda, intestata ad una prestanome, risultata poi essere una prostituta che niente aveva a che vedere con Prato.
E’ durata sei ore la lunga e circostanziata requisitoria del pm, che di fronte al gip Silvia Isidori, ha chiesto la condanna per i reati contestati: omissione dolosa di cautele antinfortunistiche, favoreggiamento della permanenza a fine di profitto di clandestini, incendio colposo aggravato e omicidio colposo plurimo aggravato. Le pene richieste hanno tenuto conto dello sconto di un terzo previsto dal rito abbreviato e delle attenuanti generiche, accordate dall’accusa in virtù del comportamento processuale e del risarcimento di 110 mila euro versato a ciascuna delle sette famiglie colpite dal lutto. La diversa richiesta di pena tra Lin You Lan e i due coimputati (la sorella e il cognato) si spiega con il fatto che il ruolo attivo di questi ultimi nella conduzione dell’attività è stato riconosciuto soltanto nell’ultimo anno precedente al rogo.
Il pm Gestri, che ha consegnato al giudice una memoria di 200 pagine, ha iniziato la sua requisitoria definendo questo processo un atto che “segnerà la storia di questa città”. “La drammaticità di quanto avvenuto è unica – ha argomentato il pm – ma questo è un caso tristemente paradigmatico di ciò che recentemente il procuratore facente funzioni Antonio Sangermano ha definito sistema Prato. Un sistema di legami non sempre limpidi tra parte della comunità cinese, parte dei titolari di immobili e una parte del supporto che il fare impresa necessita, in primo luogo la competenza tecnica dei professionisti. Un sistema che solo per chi non è nei nostri uffici rappresenta una sorpresa. Nella vicenda di via Toscana il tutto é rappresentato. Chi continua a negarlo, o non conosce, oppure parla per logiche di interesse”.
A svelare alcuni elementi del sistema Prato e le connivenze di tanti italiani – professionisti, consulenti, proprietari degli immobili – nel fare impresa in modo illegale da parte dei cinesi, è stata Lin You Lan nella sua deposizione. Come riconosciuto dal pubblico ministero Gestri.
Nel suo discorso il pm ha passato in rassegna gli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, a partire dalle inesistenti misure di prevenzione nel capannone: assenza di uscite di sicurezza, un soppalco in cartongesso di 30 metri in cui nel 2008 erano stati ricavati gli alloggi per gli operai, e impianti elettrici non a norma. Proprio il malfunzionamento dell’impianto elettrico è la causa dell’incendio: quattro operai che si trovavano nei loculi del soppalco, sorpresi nel sonno, hanno provato a fuggire verso il retro del capannone. Per salvarsi avrebbero dovuto scendere le scale e percorrere altri trenta metri in mezzo alle fiamme che si erano estese al materiale tessile, ben 250 quintali accatastati. Non ce l’hanno fatta: sono morti intossicati, come i due che dormivano al piano terra, nella parte posteriore del capannone, e come l’ultima vittima che dal soppalco ha provato a scappare spaccando il vetro di una finestra, senza sapere che c’erano le sbarre, ed è stata uccisa dai fumi, ancora più devastanti per l’effetto-camino.
“Le violazioni alle norme di sicurezza sono abnormi – ha proseguito Gestri – comuni a tanti altri capannoni nel distretto. Sotto il profilo dell’adeguamento alle regole questo evento drammatico non ha prodotto alcunché”. A conferma di ciò il pm ha illustrato i dati sui controlli. Nel 2013 prima della strage di via Toscana avvenuta il 1° dicembre ci furono 110 sequestri di immobili. Da quella data ad oggi ci sono stati 112 sequestri analoghi.
Nel suo intervento il pm ha la richiamato le responsabilità dei tre imputati. Se la prima, Lin You Lan, nel corso dell’interrogatorio, ha fatto ampie ammissioni sul ruolo di conduzione della Teresa Moda (intestata ad una prestanome), la sorella Lin Youli e il marito di quest’ultima Hu Xiaoping hanno provato a ridimensionare il loro coinvolgimento nella gestione della società. Un quadro respinto dall’accusa secondo la quale i coimputati “sono inquadrati nella posizione di garanzia del datore di lavoro”, in quanto si occupavano di pagare i dipendenti, ricevere merce dai fornitori, impartire direttive agli operai, i quali, non a caso, chiamavano i coniugi “i capi”. “Senza il loro contributo, rafforzato dal vincolo fiduciario familiare, l’attività di impresa non si sarebbe potuta svolgere come si è svolta” – ha chiosato il pubblico ministero, che ha fatto notare come i coniugi Hu Xiaoping e Lin Youli non a caso si siano salvati.