“In un modo globalizzato non si può imporre alle persone di non muoversi e non emigrare. L’immigrazione anzi può essere una grande risorsa, anche economica, sogno una Toscana con un distretto delle confezioni come quello pratese forte e competitivo, ma dove ci sia rispetto per i lavoratori e la sicurezza nelle aziende e dove naturalmente si paghino le tasse. Che vale per le ditte cinesi ma anche per gli italiani”. Sono le parole che il presidente Enrico Rossi ha rivolto ai 74 ispettori per la sicurezza sui luoghi di lavoro assunti nei mesi scorsi dalla Regione per passare al setaccio 7.700 aziende a rischio dell’area vasta di Firenze, Prato e Pistoia.
L’incontro si è tenuto giovedì scorso nell’auditorium del consiglio regionale e aveva lo scopo di presentare al Governatore i numeri dell’azione dispiegata: 500 aziende controllate in due mesi. E un obiettivo: garantire un lavoro sicuro e il rispetto delle regole. Rossi ha ringraziato e incoraggiato gli ispettori: “La nostra è una sfida che possiamo vincere”.
Su quasi cinquecento visite ad altrettante aziende effettuate tra settembre ed ottobre dai settantaquattro neo ispettori, con un ritmo di uscite raddoppiato dall’inizio di novembre, le irregolarità non sono infatti mancate. Sono state scoperte altre fabbriche dormitorio e sono scattati sequestri, ma ci sono state anche aziende in regola o che hanno deciso di adeguarsi. A Prato in particolare, su 154 ditte controllate – con 32 imprese chiuse e 120 dove qualcosa non andava (irregolarità a volte solo lievi) – 26 erano a posto. E soprattutto tra le aziende che ancora non hanno ricevuto visite in 147 hanno avviato l’iter per aderire al patto per il lavoro sicuro, con 50 che lo hanno già firmato.
Per gli ispettori, provenienti da quindici regioni diverse (molti i siciliani), questi dati portano con sé segnali incoraggianti: “Per una sorta di effetto eco le aziende cominciano ad adeguarsi” racconta Giulia, siciliana trapiantata a Firenze. “Forse – aggiunge – organizzare dei corsi di formazione sulle normative che molti non conoscono e non capiscono (e conseguentemente non rispettano) aiuterebbe”.
Certo con una comunità chiusa a riccio tutto si complica. “C’è diffidenza reciproca” annota Silvia, che è nata a Lecce, da dodici anni vive in Toscana e ora lavora all’Asl di Prato. A volte è anche difficile individuare le aziende: i numeri civici vengono cambiati, i contratti di affitto non tornano. “Ma sono sicura che riusciremo, mattone dopo mattone, a far integrare questa comunità” risponde Alessandra, un viaggio da Palermo a Pistoia, emigrante chiamata a vigilare sul rispetto delle condizioni di sicurezza di altri emigranti. Ed è lo stesso sogno coltivato dalla Regione.
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