Tre studi professionali pratesi al centro di un giro di 80 mila false buste paga, utili a far ottenere a migliaia di cittadini cinesi il permesso di soggiorno. È quanto ha ricostruito il nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Prato con l’operazione “Fantasma”. 20 gli indagati, tra cui 17 imprenditori cinesi e 3 professionisti pratesi: un commercialista di 72 anni e due consulenti del lavoro di 42 e 38 anni, titolari di due conosciuti studi commerciali cittadini.
Secondo le indagini, coordinate dal pm Canovai e durate due anni, erano proprio i consulenti pratesi ad insegnare ai cinesi i trucchi contabili: l’intestazione della ditta a prestanome e l’evasione; quella contributiva stimata, ad oggi, dai finanzieri è di 10 milioni di euro. Il vantaggio per i professionisti, che si avvalevano di alcuni dipendenti cinesi per facilitare i rapporti con i connazionali, era quello di aumentare il giro della clientela: le imprese coinviolte dall’inchiesta sono mille e per “gestire” le buste paga di ciascun lavoratore il costo era di 30-35 euro.
L’indagine ha l’obiettivo di chiudere il cerchio sui vari aspetti di illegalità legati alla presenza cinese, una forma di criminalità che il procuratore reggente Sangermano ha definito “sistema Prato”.
Tra i principali stratagemmi riscontrati dagli investigatori vi erano: la produzione di centinaia di false buste paga che potevano essere usate al fine di ottenere o rinnovare il permesso di soggiorno, per il quale requisito indispensabile è la dimostrazione del sostentamento economico del richiedente nonchè la formale intestazione delle attività commerciali a soggetti cinesi, alcune volte inconsapevoli, altre volte consapevoli e quindi retribuiti, ma comunque tutti assolutamente irrintracciabili, i quali, proprio per questo, in nessun caso avrebbero potuto farsi carico delle varie irregolarità commesse nell’esercizio dell’attività d’impresa.
Tra i reati, a vario titolo, contestati dalla Procura ai 20 indagati ci sono false dichiarazioni sull’identità personali; violazioni delle norme relative all’immigrazione; favoreggiamento personale; furto di macchinari sequestrati. Ma anche il reato di mendacio bancario, per aver predisposto falsa documentazione utile ad ottenere linee di credito che assolvevano al requisito della consistenza economica idonea al permesso di soggiorno.
I redditi denunciati dagli operai cinesi variavano a seconda delle esigenze: quelli comunicati alla Questura per ottenere il titolo di soggiorno erano ben più alti rispetto a quelli resi noti al Fisco per il pagamento delle tasse. Gli operai che ottenevano il permesso di soggiorno grazie a false buste paga in alcuni casi venivano licenziati, in altri restavano a lavorare a nero nelle ditte. Ci sono anche casi-beffa come quelli di una ditta che tramite il consulente ha comunicato la cessazione dell’attività, salvo poi successivamente assumere altri operai per fare ottenere loro il permesso di soggiorno. E perfino il titolare di quella ditta, risulta dipendente di un’altra impresa.
Episodi resi possibili – come ha evidenziato il magistrato inquirente – anche a causa del mancato incrocio delle banche dati tra istituzioni.
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