Prato ha ritrovato il suo Palazzo Pretorio. A Firenze è in esposizione, all’interno di una mostra di grande successo (leggi l’articolo), una delle opere più importanti del nostro territorio, la Visitazione del Pontormo (nella foto, mentre viene staccata dall’altare della chiesa parrocchiale di Carmignano). Prende spunto da questi due eventi il nostro direttore Gianni Rossi che ha firmato sul numero del settimanale Toscana Oggi, uscito con la data di oggi, un editoriale sulle prospettive culturali (ed economiche) della città.
Ne riportiamo integralmente il testo.
Dopo il Pretorio prendiamo spunto dalla Visitazione del Pontormo
Il Palazzo Pretorio è tornato definitivamente alla città. Nei suoi solenni saloni hanno trovato di nuovo posto i dipinti e le sculture che hanno fatto la storia di Prato e che farebbero invidia a molti musei del mondo. Le tavole di Filippo e Filippino Lippi le avevamo ritrovate in quegli spazi già grazie alla mostra «Officina pratese»; quando ci torneremo, in queste settimane, se non l’abbiamo già fatto, converrà soffermarsi particolarmente su altri due «pezzi», entrambi da novanta: il polittico di Giovanni Da Milano e quello di Lorenzo Monaco, senza dimenticare il modello in gesso della «Fiducia in Dio» di Lorenzo Bartolini attorno al quale sembra girare tutto lo stupefacente terzo piano, la vera sorpresa di questo restauro.
Con l’attesa riapertura del Palazzo Pretorio si avvia così a conclusione una lunga stagione – per tanti aspetti tormentata – di realizzazioni e restauri in ambito culturale: nel 2003 l’inaugurazione del Museo del Tessuto all’ex Campolmi; nel 2006 il completamento del nuovo Museo dell’Opera del Duomo; nel 2007 l’inaugurazione del restauro degli affreschi di Filippo Lippi in cattedrale; nel 2010 l’apertura della nuova Biblioteca Lazzerini; ora il Museo di Palazzo Pretorio. Manca all’appello il raddoppio del Centro Pecci, quasi in dirittura d’arrivo. Una stagione tormentata, dicevamo, realizzatasi per più versi senza un disegno unitario e in modo discontinuo. Basti pensare ai tempi serrati del Museo del Tessuto e invece a quelli biblici – una brutta pagina per la città – del Palazzo Pretorio. Eppure tutte tessere che alla fine vanno a comporre un unico mosaico, che sarebbe stato considerato straordinario per ogni città e che invece noi pratesi nemmeno ci ricordiamo. Fa ancora infatti fatica a crescere tra di noi la consapevolezza del bellissimo patrimonio che ci è stato tramandato dal passato e finché questa nuova mentalità non si farà strada, difficilmente l’arte e la storia rappresenteranno un’occasione di crescita, potremmo dire di riscatto, culturale ed economico del nostro territorio. Un primo concreto segnale di cambiamento ci fu con il «lancio» del Lippi in duomo, che ha segnato davvero l’inizio stabile del flusso turistico a Prato. La svolta è arrivata con la mostra «Officina pratese»: le file di turisti all’ingresso hanno sorpreso anche gli occhi più disincantati. Ora l’antico palazzo di piazza del Comune. La sua galleria ha cambiato nome: non più Museo Civico, ma Museo di Palazzo Pretorio. È la volontà di marcare una differenza rispetto ai numerosi progetti di allestimento del passato, ma la nuova denominazione suggerisce anche un approccio più dinamico alla gestione culturale. È proprio quello che serve: non più (soltanto) la conservazione dell’arte e della storia, ma la sua promozione. «Officina pratese», appunto, fa scuola.
In questi stessi giorni, a Firenze, in Palazzo Strozzi, una delle più prestigiose sedi espositive internazionali, si tiene con successo di pubblico la mostra «Pontormo e Rosso Fiorentino». L’icona di questo grande evento è la «Visitazione» di Carmignano, uno dei capolavori assoluti dell’arte italiana. Un’opera di casa nostra, insomma. Fa effetto vederla campeggiare su tutti gli autobus fiorentini quando gran parte dei pratesi nemmeno si saranno accorti che da secoli si trova nella pieve del paese mediceo. Ma, a parte questa considerazione, la mostra di Palazzo Strozzi porta a chiedersi come mai a Prato non ci abbiamo pensato prima. Nel senso che quella straordinaria pala avrebbe potuto rappresentare il fulcro attorno al quale far girare, proprio a Prato, una mostra di grande richiamo. Questo per dire che, dopo «Officina pratese», il nostro patrimonio artistico continua ad offrire tanti inesplorati eppure sicuri spunti per eventi di richiamo. Le idee non mancherebbero, insomma. Basta volerlo. Pena il rischio che tutti questi musei tornino ad essere cattedrali nel deserto. Ma soprattutto che la città perda una delle sue partite più decisive.
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