Povera piazza del Duomo. Assediata stasera dal rombo dei motori e da gas di scarico confronto ai quali, in fondo, la schiera di bus della Cap parcheggiati anni addietro erano poco e nulla. Il Rally Città di Prato, s’è detto, quest’anno parte dal cuore cittadino. Roba da infarto al miocardio. Al punto che la brutta pista del ghiaccio del prolungato inverno passato è una bazzecola e che meno ancora sono mercati e mercatini che poco, spesso, hanno a che fare con le vere tradizioni di uno o più popoli. Il trattamento riservato a un gioiello urbanistico, con le sue perle architettoniche, è in fondo degno d’un paese che ha perso il senso di sé. E quel che è peggio, visto che la cosiddetta tradizione pratese, religiosa o “antica” che dir si voglia, è nata proprio intorno a quella piazza.
Un luogo sacro. Un luogo dove il profano (che non va confuso con la “profanazione” della quale sono da anni artefici in modo trasversale categorie economiche, associazioni ludiche e amministrazioni d’opposto segno politico) incontra il sacro, dove le persone ne incontrano altre e, magari, riescono (o riuscirebbero) a guardare in alto ed elevarsi insieme, tra le suggestioni del serpentino verde della facciata e il pensiero che corre alla Cintola mariana.
Vedere la piazza del Duomo ridotta a un circo di varia dis-umanità, dove macchine e consumi regnano al di sopra di sudditi dello shopping, del lusso o dei gazebo bianchi, è un vero e proprio peccato. Si perde il senso dello stare insieme. Si perde il rispetto che tutti dovrebbero, credenti o no, al cuore e alle radici di una città.
Il rally, in tutto questo, è soltanto un incidente di percorso. Purtroppo, è l’ennesimo. Fatto sta che la corsa è partita, con una macchina dietro l’altra, e il rombo dei motori, in direzione di Gavigno, dove domani – come s’usa dire in gergo sportivo – si farà sul serio.
Nulla da ridire sul piacere di vivere una gara, dal di dentro o da spettatori.
Semmai, di fiera in fiera e di circo in circo, c’è da riflettere su un aspetto. Luci posizionate a casaccio (o da ingegneri poco… illuminati), degrado quotidiano e timori dei pratesi rendono, almeno sotto il profilo della percezione, invivibile un luogo, al di là di tutto, splendido. Un luogo, una piazza e una cattedrale che andrebbero recuperati, con pochi eventi e agevolando una frequentazione quotidiana, al piacere della passeggiata, al caffè da gustare al tavolino, alla fotografia da scattare di notte, all’incontro casuale con un amico, alle quattro chiacchere sul sagrato della chiesa, all’uscita dalla messa o durante un passaggio.
Ciò potrà sembrare difficile, impossibile. Di sicuro, visti i soldi che si spendono – anche e soprattutto da parte dei privati – tra fiere, eventi di differente natura, hot dog serviti tra fiumi di birra e piste del ghiaccio, costerebbe meno restituire, con un po’ di pazienza, la piazza ai pratesi. Per farla conoscere ai nuovi, per farla apprezzare a turisti e pellegrini, per farla rivivere ai più anziani.
Ci vuole tanto? O bastano un tendone, l’odoraccio di fritto o la pista del ghiaccio che impediscono la vista e il piacere di vivere Prato e la sua cattedrale anche al più energico dei turisti?
Spazi per concerti, corse e divertimento fine a se stesso non mancano di certo. Per piazza del Duomo, varrebbe la pena tentare iniziative più sobrie e, comunque, belle, intelligenti, al limite anche istruttive e soprattutto poco invadenti.
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